RIPARTIRE RESTITUENDO ALLE PERSONE FLESSIBILITÀ ED AUTONOMIA

Questa mattina, sulle Pagine di Italia Oggi l’articolo di Bruno Manzi (dirigente Azienda pubblica, presidente Consiglio nazionale di ALI) e Luigi Massa (consulente innovazione PA, già direttore generale del Comune di Napoli).

Come ha scritto nei giorni scorsi sulle pagine de Il Foglio Marco Bentivogli: “se si ripartirà come prima, si ripartirà fragili”. E riferendosi al settore manifatturiero ci ricorda che va superata la contrattualistica basata sul rapporto prestazione lavorativa – salario, andando verso uno scambio costruttivo riassunto nello slogan progetto di lavoro – benessere della persona. E che se per smart working si intende poco più che il classico telelavoro, non si va da nessuna parte. Vero per il rilancio del settore manifatturiero dopo questa fase di “guerra”. A maggior ragione la riflessione va fatta per l’intero comparto pubblico. Se il sistema pubblico italiano – Stato, Regioni, Comuni, Sanità, Scuola, Giustizia, aziende ed enti continua ad essere arretrato e non interconnesso come ora, anche i settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio e dei servizi resteranno al palo. Gli effetti sociali della crisi saranno analoghi a quella di una guerra con la distruzione degli stock economici accumulati nel tempo. Nei grandi Paesi, mentre ancora si combatte al fronte, già si pensa alla ricostruzione. Così dobbiamo fare noi che vogliamo essere un grande Paese. L’emergenza ci ha mostrato le nostre difficoltà. Stiamo pagando anni di ritardi nell’innovazione. Senza una PA efficiente ed efficace, agile e interconnessa sarà sempre più difficile gestire sia le emergenze che l’ordinario. Nel nostro piccolo, noi di ALI-Autonomie Locali Italiane, stiamo provando a farlo. Almeno per il comparto Regioni – Enti Locali. Qui l’innovazione deve essere totale come il cambio di paradigma. Occorre ridefinire le procedure rendendole “native” digitalmente ripensandole per il nuovo sistema insieme garantendo tutti gli elementi di trasparenza e del giusto procedimento che sono alla base del sistema pubblico. Qui la tecnologia blockchain ci viene in aiuto. Abbiamo iniziato ad applicarla nella direzione del lavoro, degli atti e del rapporto tra l’amministrazione e i cittadini (la messa a disposizione, gratuita, di tutte le Amministrazioni locali del servizio di notarizzazione delle sedute degli organi collegiali ne è un esempio). Tecnologia importante, certo, ma solo se accompagnata da un processo di rivoluzione del modo di lavorare nelle PA. L’introduzione della blockchain, degli smart contract nei rapporti tra cittadino e amministrazione, all’interno delle PA e tra le amministrazioni facilita il cambiamento. Servono, insieme, altre cose. Un tavolo con i sindacati per riscrivere da zero il CCNL, orientato al modello dello smart working. Che non è solo il modo di lavorare a distanza. Bensì una filosofia basata sul restituire alle persone – dipendenti pubblici ma anche cittadini o imprese che a questi si rivolgono – flessibilità e autonomia negli strumenti da usare, negli orari e negli spazi. Passando dal badge alla responsabilizzazione individuale e di gruppo per il risultato garantendo un equilibrato rapporto tra tempi di lavoro e tempi di vita. Imponendo automatismi nelle verifiche,  nuovi e diversi sistemi di controllo meno basati sulla forma e di più sulla sostanza. Fino al rovesciamento del concetto degli archivi. Non più patrimonio della singola struttura – quasi 24 mila amministrazioni, ognuna con archivi contenenti dati magari ripetuti che ci riguardano, isole non comunicanti nemmeno tra loro. Ma del soggetto che ne è titolare. Azienda o cittadino che sia. Con il suo portafoglio – in cui contenere, oltre alla carta di credito o alla patente, tutta la propria storia personale, strutturata – come la blockchain permette – in fasce di livello di riservatezza. Poi un piano di formazione adeguata. Per le migliaia di futuri dipendenti pubblici che sostituiranno quelli ormai prossimi alla pensione. Immettendo nella PA nuove figure professionali in grado di affrontare la sfida aperta con questa dalla profonda trasformazione organizzativa necessaria. Ma anche per cittadini e imprese che con la PA si rapportano. Serve un nuovo grande piano nazionale, come furono le 150 ore, dedicato a questo nuovo modo di essere di un Paese che vuole tornare all’avanguardia nel mondo moderno, rialzando la testa dalla crisi in cui ci ha cacciati il maledetto virus. Oltre a completare gli investimenti nella rete nazionale, portando ovunque la banda larga e rendendo operativa la rete 5G, così da superare ogni situazione di digital divide territoriale ancora eccessivamente pesante.

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