LAVORO NEL TURISMO POST-PANDEMIA: UN SONDAGGIO DÀ VOCE A IMPRESE E ADDETTI

La sfida del rilancio del turismo dopo la pandemia è fondamentale per l’economia italiana. Pubblichiamo i risultati di un sondaggio fatto fra gli operatori del settore che danno anche indicazioni utili per orientare le politiche delle città e dei territori

Come sarà il lavoro nel turismo post pandemia? Il settore saprà cogliere le nuove sfide? Il Governo saprà dare risposte adeguate? In questi mesi si è sentito di tutto. Vari esperti (o presunti tali) hanno dipinto diversi scenari, dai più apocalittici a quelli improntati a un cauto ottimismo. Ma la sensazione è che si sia parlato più per convinzioni personali, senza tener conto del vero motore del comparto turistico e dell’ospitalità alberghiera: i lavoratori e gli imprenditori. In realtà una voce fuori dal coro c’è stata. È quella di LavoroTurismo.it, realtà operante nel settore della ricerca e selezione di personale. Per cercare di comprendere in quale direzione andrà il lavoro nel turismo post pandemia lo ha chiesto direttamente agli “attori protagonisti”. Per l’appunto gli addetti e gli imprenditori.

E lo ha fatto attraverso un sondaggio, somministrando una serie di domande a un campione rappresentativo delle due categorie.

Fase uno tra formazione e critiche al Governo I quesiti sono stati posti nel periodo più duro e al tempo stesso più incerto, quello della fase uno. Per l’esattezza tra il 20 aprile e il 20 maggio 2020. Ne emerge un quadro per certi versi preoccupante, bilanciato solo in parte dalla scelta (soprattutto da parte degli imprenditori), di formarsi e aggiornarsi nella fase di sostanziale inattività. Luci e ombre anche sull’operato del Governo. Per i lavoratori tutto sommato ha agito bene durante la fase uno. Anche se, va detto, non sono mancate critiche per gli aiuti economici a persone e imprese. E per quegli impegni assunti che non hanno trovato riscontro nella realtà. Quest’ultimo aspetto è stato rimarcato con forza dagli imprenditori. Sono stati critici con l’esecutivo per via delle promesse non mantenute. In primis la mancata concessione di contributi a fondo perduto.

Il rischio della fuga di specialisti dal settore turismo Ma forse il dato che dovrebbe far riflettere maggiormente è un altro: il rischio di una vera e propria fuga di specialisti dal settore turistico. Ciò emerge a chiare lettere nella parte del sondaggio dedicato ai lavoratori. Significherebbe impoverire ulteriormente il settore. Anziché puntare sul miglioramento della qualità dei servizi, si finirebbe per assoldare manovalanza a basso costo. Con conseguenze facilmente immaginabili.

Galeazzi (LavoroTurismo): “Il turismo pagherà il conto più salato” Oltre il 50% delle persone intervistate – spiega Oscar Galeazzi, amministratore di LavoroTurismo.itsta valutando di cambiare settore. Il 6% lo ha già deciso. Ciò rivela la forte propensione di molte persone, che hanno subito la situazione di debolezza e fragilità che ha toccato il turismo, la ristorazione e l’ospitalità. Il turismo – prosegue – pagherà il conto più salato della crisi da covid 19. Il fatto che il settore sia caratterizzato dalla presenza di imprese di piccole e medie dimensioni nelle situazioni di crisi rende il rapporto datore di lavoro-lavoratore ancora più precario. Non per volontà del datore di lavoro ma per la fragilità dell’impresa stessa. È un segnale di allarme che dovrebbe interessare molto le istituzioni, le imprese e le associazioni di categoria”.

I rischi: stipendi più bassi e servizi meno qualificati In effetti anche prima della pandemia il comparto stava facendo i conti con la carenza di personale qualificato, in primis nel mondo della ristorazione. Ora le cose rischiano di peggiorare. “Quando un professionista cambia settore – dice ancora Galeazzi – ne derivano fenomeni preoccupanti: difficilmente quel professionista ritornerà poi nel suo settore di origine. E queste persone qualificate, non saranno sostituite nel breve e medio periodo. Si parla molto di fuga di cervelli. È il momento di pensare anche alle problematiche della fuga di specialisti del turismo”. In questo scenario le aziende potrebbero cogliere la palla al balzo, offrendo condizioni lavorative meno vantaggiose e sempre meno remunerate. Nel breve periodo, in effetti, si riducono i costi. Ma nel medio-lungo termine si rischia di pagare un conto salato. Il turista, sempre più competente e orientato alla qualità, finirà per penalizzare quelle attività che – volendo estremizzare – improvvisano, anziché programmare.

Formazione e lavoro nel turismo post pandemia Si rischia di tornare indietro, proprio nel momento in cui sarebbe necessario – solo per fare un esempio – rafforzare le competenze digitali. E qui il sondaggio tocca un altro dolente: la formazione. Le opportunità per aggiornarsi non sono di certo mancate. Sul web sono stati organizzati e proposti webinar, corsi e master per tutti i gusti. Tutti hanno avuto l’opportunità di impiegare il tempo per formarsi o aggiornarsi. Ma in pochi ne hanno approfittato. “A fronte di una forte disponibilità di prodotti e servizi – conferma Galeazzi – solo una percentuale minoritaria ha utilizzato parte del tempo in modo professionalmente produttivo. Gran parte delle persone hanno reagito con un atteggiamento passivo, rinunciatario e di attesa. Altri sono partiti con buone intenzioni. Salvo poi perdersi per discontinuità e per maggiore attenzione verso aspetti più ludici e meno impegnativi”.

Uso delle tecnologie: Italia indietro rispetto ad altri Paesi L’amministratore di LavoroTurismo.it pone poi l’accento sul “gap” tecnologico degli italiani rispetto ad altri Paesi. Non solo si dà scarsa rilevanza alla formazione online, ma in alcuni casi si riscontra anche una scarsa conoscenza del computer. “C’è da rilevare – prosegue Galeazzi – che noi italiani eravamo in forte ritardo in merito a un approccio di corsi e attività online, ma anche al semplice utilizzo di computer. Questa critica riguarda purtroppo anche i giovani, espertissimi nell’utilizzo di smartphone, social e giochi, molto meno in applicativi utili per il lavoro e lo studio. Non tutte le valutazioni sono comunque negative. C’è stata più attenzione verso la famiglia, i genitori, i figli, un recupero di valori sociali, maggiore attenzione agli esercizi fisici, la cura della casa”. Italiani esperti con lo smartphone, ma hanno scarsa conoscenza del computer

Con il coronavirus più attenzione alle tecnologie e al web Se non altro, la pandemia ha aiutato a colmare almeno in parte questo gap: “È indubbio – commenta l’ideatore del sondaggio – che il coronavirus ci lascerà in eredità, tra le cose positive, un approccio più tecnologico. Una maggior ricorso a modalità di interazione a distanza. Una maggiore attenzione alle opportunità che la tecnologia e il web ci mette a disposizione”. Detto questo, c’è un intero settore da ricostruire e rilanciare. Il turismo post pandemia presenterà nuove sfide, molte delle quali inedite. Come affrontarle? Si prende la crisi di petto o ci si rassegna?

Lavoro nel turismo post pandemia: i possibili scenari Il sondaggio di LavoroTurismo.it delinea questo scenario: “A fronte di una minoranza di persone che ha capito come sfruttare al meglio questi momenti, c’è una maggioranza che avrebbe bisogno di parlare e confrontarsi con persone esperte e competenti. Solo così potrà essere indirizzata verso scelte e comportamenti più consapevoli. I protagonisti dovrebbero essere le istituzioni, spesso in realtà non all’altezza del ruolo. Spaventa una diffusa quanto errata convinzione che possiede più dell’80% delle persone, che ritiene di poter cambiare settore lavorativo senza o con lievi difficoltà. È un dato che rivela una visione e valutazione troppo ottimistica. Si tenga conto che i partecipanti hanno per il 70% più di 30 anni, pertanto già inseriti in un percorso professionale. È un fenomeno che abbiamo trovato spesso: la non piena consapevolezza della propria posizione professionale, dei propri punti di forza e in particolare la non chiara visione dei punti di debolezza”.

Situazione preoccupante sul fronte occupazionale Certo è che sul fronte occupazionale la situazione è complessa, se non critica. La fotografia scattata tra aprile e maggio la dice lunga sulle caratteristiche del settore. Il rischio di andare incontro a un’emorragia di posti di lavoro è concreto. Solo il 29% dei lavoratori intervistati ha un contratto a tempo indeterminato. Il 56% lavora a tempo determinato (stagionali), 10% autonomi. Le persone in cassa integrazione sono il 20%, delle quali il 13% assunto a tempo indeterminato. Meno del 15% delle persone hanno risposto che stavano lavorando nel periodo preso in considerazione. In pratica il settore è rimasto quasi del tutto paralizzato. Sarà davvero dura ripartire e, successivamente, rimettersi in carreggiata. Dal sondaggio emerge una forte preoccupazione da parte dei lavoratori. La metà di loro lo ha detto chiaramente. Un altro 36% si è limitato ad ammettere che un po’ di preoccupazione c’è per il futuro.

La situazione professionale delle persone intervistate

Imprenditori critici sulle azioni messe in campo dal Governo Ora che il lockdown è alle spalle ed è ripresa la libera circolazione, questa preoccupazione dovrebbe in parte diminuire. Ma c’è da fare i conti con una situazione economica difficile. “Il 25% delle persone – sottolinea Galeazzi – è in forte difficoltà economica e quasi il 30% in difficoltà.  Questo è un aspetto molto delicato, anche per la forte percentuale di lavoro stagionale-precario. La preoccupazione più elevata riguarda la perdita del lavoro. Parliamo del 47% dei lavoratori intervistati”. Passando agli imprenditori, non si può non rilevare il coro di critiche all’operato del Governo: “Gli imprenditori – spiega Galeazzi – sono molto critici verso le azioni e le strategie attivate dal governo, spesso non chiare o contraddittorie. Questo ha influito negativamente, professionalmente e psicologicamente. Non scordiamoci che imprenditori e dirigenti sono innanzitutto persone, con le difficoltà e debolezze di tutti. Non dimentichiamoci che in Italia fare l’imprenditore comporta molta energia e resilienza”.

Aziende a rischio chiusura, la preoccupazione degli imprenditori Certo è che molte imprese sono in difficoltà. Solo il 7% pensa di reggere nonostante i mancati introiti. Quasi il 40% degli imprenditori contattati, invece, parla di rischio chiusura, a meno che non intervenga lo Stato. Mentre il 9% sta valutando la chiusura dell’azienda. C’è preoccupazione anche perché c’è consapevolezza che lasceranno per strada anche i loro dipendenti. Ancora Oscar Galeazzi: “È vero, gli imprenditori sono molto preoccupati per il futuro dell’azienda, per il ripensamento o la conversione dei servizi proposti, per le difficoltà alla riapertura e per l’incognita clienti. Nei pensieri degli imprenditori ci sono i servizi dell’azienda, la clientela, gli aspetti economici-finanziari. Ma anche i dipendenti. Parliamo di imprese medio-piccole, di conseguenza è normale che una parte importante dei pensieri degli imprenditori riguardino la loro famiglia professionale”.

La situazione economica delle imprese

Perché è necessario un intervento dello Stato Un intervento dello Stato appare dunque quanto mai necessario: “Lo Stato dovrebbe supportare le aziende con i fatti e non proponendo ulteriori debiti. È doveroso aggiungere che anche le imprese che chiuderanno per gran parte lo faranno per una loro debolezza strutturale, già presente prima della crisi. I piccoli imprenditori che diventeranno dipendenti avranno in molti casi difficoltà nel reinserimento lavorativo. Sostenere le imprese in difficoltà contribuisce a mantenere l’occupazione di altre persone e – sottolinea Galeazzi – costa meno che sostenere poi gli imprenditori verso nuovi percorsi professionali”. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, qualche segnale incoraggiante si intravede all’orizzonte. Si punterà molto sull’innovazione. Da parte di diverse imprese c’è la voglia di aggiornarsi con tecnologie più coerenti con il presente. In un mercato che sarà ancor più competitivo, si punterà anche su nuove sperimentazioni.

Lavoro nel turismo post pandemia fra cassa integrazione e stagionali fermi Ma i dati di (ri)partenza sono tutt’altro che incoraggianti. Il 38% dei dipendenti è in cassa integrazione, mentre 21% lo è parzialmente. Il 30% non è assunto, poiché si parla soprattutto di aziende stagionali. Di qui le preoccupazioni della parte datoriale: il 74% degli imprenditori si dice molto preoccupato. Il 19% è “solo” preoccupato. Solo il 7% degli intervistati dice di essere sereno. Si percepisce, comunque, voglia di agire e reagire, anche se non si sa bene come. Lo si capisce anche da un altro dato di fatto: diverse imprese sono apparse determinate nel pensare, studiare, informarsi su nuove strategie.

Da parte delle imprese c’è voglia di reagire Si sono formati, hanno seguito molti webinar. (E ciò emerge anche dalle nostre interviste ai formatori durante il lockdown). Tutto sommato lo sconforto è un sentimento che appartiene a pochi: “Nel complesso – afferma Galeazzi – la maggioranza delle persone ha investito su formazione e aggiornamento. Numerose le azioni pratiche di contatto con la clientela e progetti di ristrutturazione o ripensamento delle proposte di servizi. C’è la sensazione, che si auspica non sia solo una speranza, che questa crisi, oltre a tutte le cose negative abbia costretto gli imprenditori a rivalutare il proprio business. In definitiva si prevede una crescita professionale dell’imprenditore e una maggiore predisposizione a una visione innovativa di medio termine. Quanto poi queste buone intenzioni si tradurranno in pratica è difficile da misurare. Ma la sensazione – conclude – è comunque positiva”.

Detassazione ed esoneri per ripartire Ma nell’immediato, cosa chiedono le imprese per ripartire?

Detassazione ed esonero del pagamento dei contributi per i dipendenti. Poi c’è il problema del pagamento degli affitti. Ma il clima di incertezza continua a pesare come un macigno sul futuro del settore turistico, del mondo dell’hotellerie e della ristorazione. Una serie di interrogativi bisogna porseli: quanti italiani andranno in vacanza questa estate? Quanti soldi avranno in tasca? Hanno ancora un lavoro che permette loro di andare in vacanza? E quanto peserà sulle scelte dei turisti esteri il clima di allarmismo che ha messo in cattiva luce l’Italia? Lo scopriremo presto. Ma ora è tempo di rimboccarsi le maniche e lavorare a testa bassa. I problemi si risolvono così.

da formazioneturismo.com


RILANCIO DEL TURISMO, I RISULTATI DI UN SONDAGGIO. La voce dei lavoratori e degli imprenditori del turismo ai tempi di coronavirus, da lavoroturismo.it

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