LOTTA ALLE DISUGUAGLIANZE DI GENERE. L’ASVIS: “LA PARITÀ SIA ELEMENTO TRASVERSALE DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA”

Pubblichiamo la nota Asvis del Gruppo di lavoro sul Goal 5 “Parità di genere”.

La violenza sulle donne non diminuisce

La violenza è la manifestazione più estrema delle disuguaglianze di genere che richiede un rafforzamento delle misure di prevenzione e contrasto. L’emergenza sanitaria ha determinato un aumento degli episodi di violenza sulle donne. Le restrizioni per arginare il Covid-19 hanno, infatti, aggravato situazioni di conflitto con partner violenti. Senza dimenticare i figli e le figlie che, restando a casa per la chiusura delle scuole, sono stati vittime passive delle violenze. In base agli ultimi dati dell’Istat, il 31,5% delle donne in età 16-70 anni ha subito nel corso della vita una violenza fisica di qualche tipo. Nel periodo di lockdown sono stati registrati 15.280 contatti al numero verde 1522, dato più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+119,6%). Tra questi, la crescita delle richieste di aiuto tramite chat è quintuplicata, passando da 417 a 2.666 (Fonte: Istat). I Centri antiviolenza[1] sono il fulcro della rete territoriale della presa in carico delle vittime di violenza (unitamente ai loro figli minorenni). Al 31 dicembre 2018 sono 302 i Centri operativi, pari a uno per 20mila abitanti. Le donne che, grazie all’azione dei Centri, hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza sono 30.056, delle quali il 63,5% lo ha iniziato nel 2018. Le liti che generano una reazione violenta hanno nella maggior parte dei casi un motivo economico e si accentuano nei casi dove c’è carenza culturale. Inoltre, anche quando la donna ha una propria indipendenza economica, spesso l’autore del reato rivendica il diritto di gestire tutte le risorse familiari.

Donne, violenza e giustizia

Nel 2017 sono state 2.018 le sentenze definitive per violenza sessuale. La durata media del percorso giudiziario, tra la data del reato e la sentenza definitiva di condanna, è pari a 31 mesi quando la sentenza diventa definitiva in primo grado, a 67 mesi in secondo grado. Denunciare la violenza e intentare un’azione legale implica un costo emotivo molto alto oltre a quello finanziario. Negli ultimi anni sono state emanate diverse norme di diritto penale ispirate da un aumento della risposta repressiva ai reati di genere e di implementazione degli strumenti di tutela processuale della vittima[2]. Ciononostante, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha bocciato nuovamente l’Italia per ostacolare l’accesso alla giustizia alle donne vittime di violenza. Il Comitato, pur avendo riconosciuto gli sforzi fatti dall’Italia con la legge 69/2019 (c.d. Codice Rosso), ha valutato negativamente i tempi di risposta dei Tribunali alle denunce, il numero di procedimenti penali avviati, il numero eccessivo di assoluzioni e di archiviazioni. Per questo il Paese resterà sotto vigilanza rafforzata e dovrà fornire, entro il 31 marzo del 2021, le informazioni sulle misure adottate per garantire un’efficace valutazione del rischio che corrono le donne che denunciano violenza e dimostrare la concreta applicazione delle leggi. L’Italia è stata sollecitata a fare di più per la prevenzione della violenza e per garantire la presenza dei Centri antiviolenza e le risorse a loro disposizione. Oltre all’aspetto repressivo nei confronti dell’autore del reato, è necessario garantire e migliorare la protezione della donna, evitando processi di ri-vittimizzazione nei percorsi di uscita da episodi di violenza, consentendo alle donne di conquistare l’autonomia economica soprattutto attraverso l’inclusione lavorativa. È necessario facilitare una maggiore attenzione, a livello penale, a casi di violenza economica nelle relazioni di prossimità, fino ad ora raramente incluse nei processi per violenza familiare. Per aiutare la donna che ricorre alla giustizia e darle il supporto necessario per superare le difficoltà serve migliorare l’integrazione dei servizi territoriali.

Donne, violenza e lavoro

Una donna indipendente ha meno probabilità di subire violenza economica e fisica. La violenza sulle donne origina anche dalle condizioni che impediscono l’autonomia economica e quindi, in primo luogo, dalle difficoltà all’ingresso nel mondo del lavoro. Il tasso di occupazione femminile è di circa il 50%, di 18 punti più basso di quello maschile e il Covid-19 ha peggiorato la situazione. Rimangono inoltre forti disparità sul luogo di lavoro, come la differenza salariale tra uomini e donne che nel settore privato è di circa il 17,9%[3]. Secondo il World economic forum ci vorranno ben 222 anni per superare il ‘pay gap’ di genere a livello mondiale. Una causa deriva dal ruolo delle donne in famiglia. Le donne infatti si occupano anche del lavoro di cura e dei carichi familiari cosa che le costringe ad accettare lavori vicino casa, flessibili e spesso mal pagati. La mancanza di un lavoro stabile e di qualità unite alle disparità salariali rendono più frequente tra le donne la condizione di povertà con conseguenze nella terza età, dove presentano una maggiore precarietà economica. Il potenziamento dei servizi di cura universali e di qualità (all’infanzia, agli anziani e ai disabili) costituisce una delle soluzioni più rilevanti per far crescere l’occupazione femminile.

Donne, violenza, educazione ed innovazione

L’educazione ha un ruolo fondamentale per la prevenzione della violenza sulle donne, in primo luogo attraverso la lotta agli stereotipi di genere (circa il 24% della popolazione ritiene che il modo di vestire provochi la violenza sessuale[4]). Importante è anche garantire lo sviluppo di competenze finanziarie e digitali necessarie per mantenere e possibilmente migliorare gli attuali livelli occupazionali. Secondo un’indagine Iacofi (Banca d’Italia), il divario delle competenze finanziarie tra uomini e donne continua ad aumentare e rileva che oltre il 30% di donne sottostima le proprie competenze. Gli elementi su cui concentrare l’attenzione, soprattutto alla luce della pandemia, sono le competenze digitali e l’educazione finanziaria. L’autodeterminazione passa in primis dall’indipendenza economica, che molte donne non hanno o hanno in maniera limitata. L’educazione finanziaria ha un ruolo strategico per la presa di coscienza, tanto che e di recente si è intensificato il dibattito e sono aumentate le occasioni di informazione e formazione. Per quanto riguarda le competenze digitali, le opportunità formative coprono la fascia di età fino ai 29 anni ed escludono le donne che dovrebbero adeguare le proprie conoscenze e competenze.

Donne, violenza e salute

La violenza contro le donne è un problema di salute di enormi proporzioni globali[5]. Le conseguenze sullo stato di salute della donna assumono infatti diversi livelli di gravità e possono avere esiti fatali, fino a condizioni di morbosità fisica e psicologica, incluso il Post traumatic stress disorder (Ptsd). Le donne abusate hanno, infatti, quasi il doppio delle probabilità di soffrire di depressione rispetto alle donne che non hanno subito violenze; hanno quasi il doppio delle probabilità di sviluppare problemi con l’alcol; le vittime di abusi da parte sia del proprio partner sia di sconosciuti hanno l’1,5% di probabilità in più di contrarre infezioni sessuali gravi rispetto a donne che non hanno subito violenze, il doppio della probabilità di avere un aborto. In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale garantisce alle donne, alle coppie e alle famiglie, strutture finalizzate alla prevenzione, all’individuazione precoce e all’assistenza nei casi di violenza di genere e sessuale, ma è necessario rafforzare le competenze degli operatori sociosanitari che entrano in contatto con le vittime, mediante specifici programmi di formazione. Le donne con disabilità sono più esposte delle altre alla violenza di genere, ma questo aspetto è scarsamente considerato. Riguardo alla situazione delle donne con problemi di salute o disabilità, nel 2014 l’Istat ha specificato che ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha disabilità gravi. Il rischio di subire stupri o tentati stupri è pari al 10% contro il 4,7% delle donne prive di questi problemi.  Le donne con disabilità intellettiva (che normalmente hanno difficoltà a riferire le violenze e gli abusi subiti) o con disabilità psicosociali (le cui testimonianze sono interpretate come sintomi di “malattia mentale”) hanno più probabilità di subire violenze o abusi sessuali. I centri antiviolenza che si occupano anche di donne con disabilità lamentano difficoltà di varia natura, tra cui l’accessibilità.

[1]      La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica (Istanbul, 2011) prevede che gli Stati aderenti predispongano “servizi specializzati di supporto immediato, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione” della Convenzione.

[2] F. Filice, 2019 La violenza di genere (ed. Giuffré Francis Lefebvre).

[3] Eurostat Gender Pay Gap Statistics 2018- unadjusted gender pay gap by economic control % – based on 2016 data.

[4] ISTAT “Indagine sugli stereotipi di ruoli di genere” – Dati 2018 (https://www.istat.it/it/archivio/2435994).

[5] Rapporto dell’OMS “Valutazione globale e regionale della violenza contro le donne: diffusione e conseguenze sulla salute degli abusi sessuali da parte di un partner intimo o da sconosciuti”.

 

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