L’acqua e i rifiuti rappresentano a tutti gli effetti i “candidati ideali” per un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Le due questioni, infatti
- sono nel cuore della componente green, in grado di assicurare benefici per le future generazioni. L’attenzione che l’Unione europea dedica alla transizione verde – a partire dalla predisposizione del Green Deal – passa dai servizi di gestione della risorsa idrica e dei rifiuti che realizzano un uso sostenibile delle acque e riducono l’impatto sull’ambiente dalla gestione dei rifiuti;
- acqua e rifiuti sono esplicitamente richiamati nelle raccomandazioni specifiche della Commissione Ue all’Italia, laddove si chiede di concentrare gli investimenti sulla transizione verde e digitale e, in particolare, nella gestione dei rifiuti e delle risorse idriche;
- sono eleggibili per interventi di partenariato pubblico-privato co-finanziati dai prestiti e dalle garanzie a valere sulle risorse di Next Generation EU, quindi possono mobilitare anche gli investimenti privati a integrazione della componente pubblica (dunque con benefici macro-economici maggiori);
- possono contare su una regolazione economica consolidata, una autorità indipendente (Arera), in grado di monitorare la realizzazione delle opere e assicurare che i prestiti ricevuti possano essere restituiti dalla tariffa.
Pur tuttavia proprio questi due ambiti di intervento, centrali per la qualità della vita delle generazioni presenti e future, sembrano essere stati trascurati dal Pnrr.
Cosa prevede il Pnrr
Nel documento approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso al Parlamento, un riferimento alla gestione dei rifiuti è presente nella linea d’azione intitolata “Economia circolare e valorizzazione del ciclo integrato dei rifiuti”, all’interno della componente “Agricoltura sostenibile ed Economia circolare”, della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”.
Sono previsti 4,5 miliardi di euro, così suddivisi:
– 1,5 miliardi per la realizzazione di nuovi impianti e per l’ammodernamento degli impianti esistenti per il riciclo.
– 2,2 miliardi per il Progetto economia circolare, per interventi coerenti con il Piano europeo per l’economia circolare (Circular Economy Action Plan) che intendono ridurre la produzione netta di rifiuti e il conferimento in discarica di tutti gli scarti di processo.
– 0,8 miliardi per la transizione ecologica nel Mezzogiorno, con progetti ancora da individuare.
Il focus degli investimenti è sulla raccolta e il riciclo dei rifiuti. Tra le riforme si indica la “Strategia nazionale per l’economia circolare”, che su proposta del ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, dovrà agevolare i materiali prodotti dal riciclo e accelerare la realizzazione degli impianti che mancano.
Per la gestione dell’acqua il riferimento è all’azione “Invasi e gestione sostenibile delle risorse idriche”, e alla componente di “Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica”.
Vengono previsti 4,38 miliardi di euro, così distribuiti:
– 2,36 miliardi di euro per le infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento (leggasi dighe, laghi artificiali, collegamenti tra acquedotti e così via).
– 0,52 miliardi di euro per l’utilizzo di acqua in agricoltura.
– 0,9 miliardi di euro per gli acquedotti e la digitalizzazione delle reti.
– 0,6 miliardi di euro per fognature e depuratori.
Gli interventi di riforma riguardano la semplificazione, il rafforzamento delle istituzioni pubbliche che si occupano di acqua e opere idriche, l’apporto di tecnici e competenze per la progettazione e l’esecuzione delle opere, una “spinta gentile” per consentire che operatori industriali subentrino ai comuni nei territori dove ancora questi ultimi si oppongono, anche perché senza operatori manca poi chi deve realizzare le fognature, i depuratori e gli acquedotti e quindi farli funzionare.
Una lettura critica
Il Pnrr riconosce le carenze e i colli di bottiglia presenti nella macchina amministrativa ed esecutiva, dalla pianificazione alla attuazione dagli interventi sulle infrastrutture idriche, così come le difficoltà nella realizzazione degli interventi di fognatura e dei depuratori mancanti, che già ci costano centinaia di milioni di euro all’anno di sanzioni per il mancato rispetto delle direttive Ue dei primi anni Novanta.
La ricognizione di Arera, a partire dalle indicazioni di regioni e comuni, indica un fabbisogno già esistente di 10 miliardi di euro per progetti e interventi finalizzati alla riduzione delle perdite idriche, garantire la continuità della fornitura e migliorare la qualità dell’acqua destinata al consumo umano. Si tratta solo di una parte delle opere necessarie e non contempla i fabbisogni legati al cambiamento del clima, ai nuovi inquinanti e alla pressione dell’uomo sull’ambiente.
Visti da questa prospettiva, i 4 miliardi di euro stanziati dal Pnrr sono ampiamente insufficienti.
In più, c’è il rischio che il Pnrr diventi l’occasione per fare di più e meglio nei territori nei quali le condizioni di partenza sono già buone. L’esito più probabile è infatti che gran parte delle risorse saranno destinate a progetti di più ampio respiro e eco mediatica, a territori dotati di un maggiore capacità di programmazione, ove sono presenti operatori in grado di realizzare in tempi certi le opere. Mentre il Mezzogiorno continuerà a essere penalizzato dalla frammentazione gestionale e dalla penuria di operatori industriali, unita alla fragile governance locale.
Per sopperire alla criticità croniche di alcuni territori – che pagano un prezzo elevato in termini di qualità del servizio – andrebbe pensato un percorso in grado di responsabilizzare le classi dirigenti. Ma il Pnrr non costruisce una iniziativa di forte valenza simbolica nazionale per recuperare il divario accumulato dal Sud.
Anche nel caso della gestione dei rifiuti, dal Pnrr non emerge un disegno strategico. Dalla sua lettura si ricavano riferimenti generici: manca ogni richiamo al Programma nazionale di gestione dei rifiuti, previsto dal recente recepimento del Pacchetto di direttive sull’economia circolare (decreto legislativo 116/2020). Quel programma è chiamato a indicare le risposte alla criticità come la mancanza di impianti, soprattutto al Centro-Sud, un export dei rifiuti che cresce anziché diminuire, a valorizzare il contributo dei rifiuti alla decarbonizzazione, a sostenere la bonifica dei siti contaminati e la simbiosi industriale, a prevedere gli impianti per gestire i rifiuti organici delle raccolte differenziate e i fanghi prodotti nei depuratori.
Prima ancora che distribuire risorse, occorre dunque ripartire da una visione strategica che per ora non si intravede, in particolare nel settore dei rifiuti. Occorre prendere consapevolezza dei fabbisogni esistenti nei settori di riferimento, operando una ricognizione puntuale: entrambe troppo spesso sono fin qui mancate.
Cosa serve per la ripresa
Arera dovrebbe essere al centro della cabina di regia istituzionale che mira ad attuare la transizione verde, attingendo pienamente alla sua “governance multilivello”, come avviene per le missioni che le sono già state assegnate. È il caso, nel settore idrico, della verifica della programmazione degli interventi su cui poggiano gli aggiornamenti tariffari e gli obiettivi di qualità tecnica del servizio, dell’efficacia del Piano delle opere strategiche (Pos) e del monitoraggio dello stato di attuazione degli interventi ricompresi nella sezione “Acquedotti” del Piano nazionale di interventi nel settore idrico.
Nel settore dei rifiuti, l’Autorità potrà offrire il suo contributo – coerentemente con il nuovo assetto regolatorio e considerando l’elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti (Prgr) – nel sostenere attraverso la regolazione economica (tariffe, incentivi e penalità), la definizione di standard minimi omogenei di qualità contrattuale e ambientali, la realizzazione degli impianti necessari a chiudere i divari territoriali, come previsto dal Programma nazionale di gestione dei rifiuti (Pngr).
Arera può certificare i costi delle opere afferenti ai settori di propria competenza, recependo l’indicazione della Commissione europea sull’individuazione di un organismo pubblico e indipendente al riguardo.
Per completare la visione strategica complessiva, si possono poi suggerire una serie di interventi ritenuti prioritari per i due settori, sia ove convogliare adeguati investimenti, sia ove indirizzare le riforme necessarie di accompagnamento.
Il decalogo proposto ricomprende indubbiamente una lunga serie di interventi – infrastrutturali e normativi – decisamente ambiziosi, ma ben allineati con la ratio del NgEU.
A scanso di equivoci, non è tanto (o almeno non solamente) una questione di cifre, quanto la necessità di cogliere pienamente l’opportunità lasciata in eredità dalla pandemia, per imprimere ai settori idrico e dei rifiuti quella svolta più volte auspicata.
A questi indirizzi dovrebbe puntare la selezione degli interventi eleggibili al sostegno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Solo così il Recovery Fund potrà contribuire a chiudere i divari infrastrutturali tra i territori, che poi sono divari sociali e di competitività del tessuto produttivo, e che certamente trarrebbero beneficio da migliori servizi.
da lavoce.info, Andrea Ballabio, Donato Berardi e Nicolò Valle