Cambio di destinazione d’uso per le strutture ricettive alberghiere con più di dieci camere all’interno dei cosiddetti “tessuti turistico-ricettivi ad alta densità”. Parere del Consiglio di Stato

Secondo il parere del Consiglio di Stato, n. 475 del 2021, che pubblichiamo, ai sensi dell’art. 8, l. 17 maggio 1983, n. 217, riguardo al cambio di destinazione d’uso per le strutture ricettive alberghiere con più di dieci camere all’interno dei cosiddetti “tessuti turistico-ricettivi ad alta densità”, l’Ente locale può prevedere con discrezionalità criteri e modalità per la rimozione del vincolo alberghiero, distinguendo tra le diverse zone del suo territorio e tra le differenti tipologie di strutture, ma non può del tutto trascurare il profilo legato alla perdita di convenienza economico-produttiva dell’impresa alberghiera introducendo ulteriori presupposti non previsti dalla legge.

Ha ricordato la Sezione che il vincolo alberghiero è stato introdotto con l’articolo unico della l. 24 luglio 1936, n. 1692, di conversione, con modificazioni, del r.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274, che vietava l’alienazione o la locazione “per uso diverso da quello alberghiero” (e “…senza la autorizzazione del Ministero per la stampa e la propaganda”) degli edifici alla data d’entrata in vigore del r.d.l. “… interamente o prevalentemente destinati ad uso di albergo, pensione o locanda…”. In sostanza, la rimozione del vincolo di destinazione, finalizzato a conservare l’offerta turistico-ricettiva, era consentita solo all’esito di un apposito procedimento autorizzatorio.

L’art. 1, d.lgs.lt. 19 marzo 1945, n. 117 ha prorogato l’efficacia della l. n. 1692 del 1936, e quindi il vincolo, “…fino a cinque anni dalla cessazione dello stato di guerra, fermi restando gli effetti degli atti e dei provvedimenti che siano stati presi a termini della legge stessa”; in seguito, il termine è stato ulteriormente prorogato con diversi interventi legislativi sino a quando, con sentenza 8 gennaio 1981 n. 4, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima disposizione di proroga (la l. 28 luglio 1967, n. 628, che prolungava il vincolo sino al 31 dicembre 1968) giacché lasciava inalterato il vincolo alberghiero solo per i vecchi alberghi (risalenti ad epoca precedente al 1936), mentre quelli realizzati successivamente non ne erano gravati, pur essendo mutato il contesto che giustificava la differenziazione tra gli immobili soggetti alla proroga e quelli invece esonerati dal vincolo (sulla ricostruzione storica del vincolo alberghiero si veda Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 2013, n. 416).

La Corte costituzionale, in particolare, è stata chiamata a pronunciarsi sulle censure mosse dal giudice a quo alla l. 28 luglio 1967, n. 628 (che prolungava il vincolo posto dalla precedente l. n. 358 del 1951) per violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., dal momento che le disposizioni di proroga del vincolo hanno, sì, mantenuto in vigore il precedente regime vincolistico, ma in un ambito più ridotto rispetto a quello dell’iniziale applicazione, lasciando ad esso sottoposti solo determinati immobili e risparmiandone altri. Il criterio discretivo adottato, osserva il giudice a quo, era giustificato nel momento in cui è stato sancito dal legislatore, ma con l’evolvere delle circostanze avrebbe perduto il suo razionale fondamento.

La Corte ha chiarito che la discriminazione fra gli immobili destinati ad uso alberghiero risale in verità al precedente articolo 26 del d.lg. del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1946, n. 424 che, al primo comma, dispone “le norme del decreto legislativo luogotenenziale 19 marzo 1945, n. 117, riguardanti la disponibilità degli immobili destinati ad uso alberghiero non si applicano nei confronti degli immobili che siano destinati ad uso di albergo, pensione o locanda, successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” e ne spiega il significato: “il legislatore vuole, fin da questo momento, fugare le remore che l’ancora urgente ricostruzione edilizia può incontrare nel nostro settore, per via del regime vincolistico, ripristinato poco prima, con le norme del 1945, in tutto il suo rigore”. La norma citata pertanto “rimuove il vincolo, una volta per tutte, con riguardo agli immobili adibiti ad albergo dopo l’entrata in vigore dell’atto legislativo che la contiene: questa statuizione abolitiva del vincolo – (per il futuro, nel senso testè chiarito) – è, allora, evidentemente presupposta dalla successiva legge di proroga del 1951, là dove, all’art. 1, si fa esplicito riferimento soltanto agli immobili destinati all’uso alberghiero prima della data di pubblicazione del decreto n. 117 del 1945”.

La Corte ha quindi spiegato che il vincolo in definitiva grava di un onere in più gli immobili che avevano in precedenza ricevuto la destinazione prescritta, in ragione del fatto che nel dopoguerra vi era la “necessità di non diminuire le ridotte ed insostituibili attrezzature turistiche allora esistenti. Ma una tale esigenza, pressante per quanto fosse a suo tempo, è venuta affievolendosi, a misura che si è accresciuto ed ammodernato il patrimonio alberghiero; mentre la discriminazione introdotta nel regime vincolistico è troppo a lungo trascorsa da una proroga all’altra, sconfinando oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa”. Ciò posto, la Corte ha concluso nel senso che sussiste la lesione del principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

Dalla pronuncia della Corte costituzionale, la giurisprudenza successiva ha ricavato il principio dell’intrinseca natura temporalmente limitata dei vincoli per l’uso alberghiero di un immobile e il principio che tali vincoli hanno ragione di esistere in funzione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi.

Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, la posizione della Corte costituzionale è diventata in seguito canone di azione del legislatore. È infatti intervenuta la l. 17 maggio 1983, n. 217 – Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica – che ha posto i principi fondamentali in materia, ai quali le Regioni avrebbero dovuto conformarsi nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente.

La legge del 1983 ha previsto la possibilità che le leggi regionali sottopongano a vincolo di destinazione le strutture alberghiere, ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo e nel perseguimento dell’interesse pubblico dell’utilità sociale, nonché la facoltà dei Comuni di individuare, nell’ambito dei propri strumenti urbanistici, le aree destinate ad attività turistiche e ricettive, determinandone la disciplina di tutela e utilizzazione, in conformità alle disposizioni regionali eventualmente dettate in materia.

In particolare, pur prevedendosi all’art. 8 la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, è stata disposta espressamente, al comma 5 del citato articolo, la possibilità di rimozione di detto vincolo, dando incarico alle Regioni, al successivo comma 6, di procedere all’individuazione di criteri e modalità, fermo restando che tale limitazione viene comunque meno, su richiesta del proprietario, solo se è comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato.

La previsione del vincolo deriva dalla volontà del legislatore di accordare una tutela prioritaria allo sviluppo del settore turistico, ritenuto strategico per l’economia nazionale, e trova giustificazione nel fatto che occorre evitare di snaturare i tessuti turistico-ricettivi già esistenti – particolarmente importanti per un Paese a vocazione turistica qual è il nostro – e impedire forme di speculazione derivanti dalla trasformazione delle predette strutture in immobili destinati ad usi abitativi, anche in considerazione del fatto che spesso le strutture ricettive si trovano in luoghi di particolare pregio ambientale, paesaggistico o anche solo turistico.

Tuttavia, l’Amministrazione, pur godendo di ampio potere discrezionale, deve rispettare la norma di legge che, in caso di non convenienza economico-produttiva, permette la rimozione del vincolo, seppure osservando i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo fissati dalla legge regionale (art. 8, comma 6, l. n. 217 del 1983)

da giustizia-amministrativa.it

Consiglio di Stato, Parere su Ricorso, Numero 00475 del 2021

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