Un sistema che si basa ancora, sostanzialmente, sui grandi centri e che stenta a cambiare faccia. Anche perché i nuovi bandi, che dovrebbero ridefinirne i contorni, non sono stati ancora pubblicati. A tre mesi dalla conversione in legge del nuovo Decreto Immigrazione (legge 173/2020), che doveva ripristinare un modello diffuso di accoglienza per migranti e rifugiati, poco è cambiato. A denunciarlo sono le organizzazioni che si occupano della tutela di migranti e rifugiati, riunite nella Rete Europasilo (la lista delle organizzazioni aderenti www.europasilo.org/la-rete-di-europasilo/).
“Nonostante i proclami di questi mesi, non è cambiato molto dall’era Salvini. Quanto fatto finora dall’amministrazione centrale è in completa distonia con quanto annunciato, e così si continua nella logica di favorire i grandi centri – sottolinea Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano solidarietà (Ics) di Trieste -. I capitolati di spesa sono stati alzati di poco ed è stato impedito nei fatti di far assomigliare i centri di accoglienza straordinaria agli ex Sprar. Abbiamo ancora servizi diversi nelle strutture”.
La legge 173/2020, nata per superare i decreti voluti dall’ex ministro Matteo Salvini, prevede un ritorno alla centralità del sistema pubblico dei comuni per l’accoglienza anche dei richiedenti asilo. Il decreto sicurezza aveva, infatti, precluso la possibilità di essere accolti negli Sprar ai richiedenti protezione. Il nuovo sistema, detto Siproimi era destinato solo a chi aveva già ottenuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, e ai minori non accompagnati. Nella legge 173/2020 si specifica invece che “gli enti locali che prestano servizi di accoglienza per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, che beneficiano del sostegno finanziario di cui al comma, possono accogliere nell’ambito dei medesimi servizi, nei limiti dei posti disponibili, anche i richiedenti protezione internazionale e i titolari dei permessi di soggiorno”. Vengono, inoltre, reinseriti anche i servizi di assistenza sanitaria, i corsi di lingua e di orientamento legale e formativo. Il Sai si articola in due livelli di prestazioni: il primo dedicato ai richiedenti protezione internazionale, il secondo a coloro che ne sono già titolari, con servizi aggiuntivi finalizzati all’integrazione.
Per ora però, denunciano le associazioni, è ancora tutto sulla carta: anzi quello che viene fatto tradisce lo spirito della legge. “Oggi dovremmo avere un sistema unico con gli stessi servizi tra Cas e Sai, invece un richiedente asilo viene trattato in maniera diversa a seconda della struttura in cui viene accolto – aggiunge Schiavone -. Bisognava dare indicazioni precise alle prefetture perché nell’assegnazione dei bandi vengano favorite le proposte di centri di piccole dimensioni, che dispongano di tutti i servizi e che favoriscano un’accoglienza diffusa. Invece continuiamo a finanziare i casermoni in cui vengono offerti servizi scadenti”.
Alla luce dello stallo nella riorganizzazione dei servizi di accoglienza, la Rete Europasilo, ha elaborato un documento che contiene una serie di proposte programmatiche per una riforma del sistema di asilo in Italia. In parte si tratta di misure già contenute nel nuovo decreto, convertito in legge ma non applicate. Ci sono poi una serie di proposte aggiuntive che richiederebbero nuove modifiche normative.
Innanzitutto, secondo la Rete occorre prevedere un Ente nazionale per il diritto d’asilo, a garanzia e tutela di un sistema non più emergenziale ma finalmente organico e strutturato. E poi rendere realmente operativo il ripristino dei servizi di assistenza, tra cui la mediazione linguistico culturale, i corsi di lingua italiana, il supporto psicologico. Nello specifico il Sai dovrebbe superare i limiti che hanno caratterizzato i precedenti sistemi Sprar e Siproimi “configurandosi realmente come sistema di accoglienza, diffuso capillarmente sul territorio, volto a strutturare interventi di inclusione sociale sia per richiedenti che titolari di protezione”. Per questo Europasilo chiede che al più presto venga emanato il decreto, previsto dalla legge 173/2020 e finalizzato all’adozione di nuovi criteri e standard per le strutture di accoglienza.
Tra le proposte c’è anche quella di superare l’ambiguità sul ruolo del terzo settore nei servizi di accoglienza, partendo dalle modalità di affidamento. Secondo Europasilo, bisognerebbe inquadrare il Sai come parte integrante del sistema di welfare e quindi far prevalere il principio di sussidiarietà col terzo settore. La normativa di riferimento, dunque, per l’affidamento dei servizi dovrebbe essere individuata nel Codice del terzo settore, mentre oggi si rinvia al codice degli appalti. “Se parliamo di servizi socio-assistenziali è irragionevole che questo servizio venga erogato direttamente dallo Stato a cui spetta, invece, prevedere linee guida, coordinare e monitorare – aggiunge Schiavone -. Questo modello ad oggi non ha funzionato, bisogna avere coraggio di trasferire le funzioni amministrative agli enti locali. Senza queste modifiche non arriveremo mai a un vero smantellamento del sistema emergenziale di accoglienza”. Le proposte della rete Europasilo verranno presentate durante un convegno nazionale dal titolo “L’accoglienza di domani”, che si svolgerà il 16 e 17 aprile. Interverranno tutte le maggiori realtà impegnate nell’assistenza ai migranti in Italia.
da redattoresociale.it