Capire la diffusione “geografica” di modelli di business e di governance che puntano allo sviluppo sostenibile è utile per capire, misurare e deliberare? Promuovere l’analisi di fenomeni e una valutazione integrata degli impatti economici, sociali e ambientali delle policies pubbliche o degli interventi dei privati, studiando contestualmente dove e in quale modo si sviluppano, può rappresentare una risorsa per stimolare un approccio all’analisi dei grandi temi della sostenibilità nelle peculiarità del sistema italiano? Secondo il Rapporto Italia sostenibile 2021, pubblicato in aprile da Cerved, gruppo specializzato in business information e gestione del credito, sicuramente sì.
“Integrando il nostro grande patrimonio di informazioni sulle imprese, sulle persone e sugli immobili con statistiche di fonte pubblica, abbiamo disegnato la prima mappa italiana della sostenibilità”, ha spiegato Andrea Mignanelli, amministratore delegato del gruppo Cerved nella prefazione dell’analisi. “La mappa si basa su circa 300 statistiche calcolate su tutte le province italiane, combinate in indici sintetici che consentono di individuare punti di forza e di debolezza dei singoli territori nella sfera economica, sociale o ambientale”.
Il quadro che emerge dalla ricerca è quello di “un Paese spaccato a metà̀, con un netto divario tra Nord e Sud”. Per tutte le dimensioni analizzate gli indici evidenziano, infatti, una forte eterogeneità nel territorio, con 17 province eccellenti, caratterizzate da un livello di sostenibilità elevato ed equilibrato, 22 che viceversa evidenziano forti debolezze in almeno uno degli ambiti relativi all’economia, allo sviluppo sociale e alla tutela dell’ambiente, altre 28 che danno la priorità alla sostenibilità economica, 12 con criticità sugli aspetti sociali e infine 26 che hanno problemi soprattutto sotto il profilo ambientale. La mappa, inoltre, conferma l’esistenza di un netto divario tra il Nord e il Sud del Paese, con una forte correlazione tra la dimensione economica e quella sociale e ambientale: le aree delle regioni settentrionali con un più robusto sistema produttivo riescono a garantire ai loro cittadini occupazione e redditi, prestazioni di welfare migliori e maggiori investimenti nella tutela dell’ambiente e del territorio. Dall’analisi comparativa emerge la provincia di Bolzano al primo posto nel ranking generale, seguita da Milano, Bologna e Reggio Emilia.
La mappa consente anche di individuare l’impatto di shock economici o di altra natura sul grado di resilienza delle singole province, sottoponendole a una sorta di “stress test” su un ampio spettro di indicatori. Utilizzando le stime sugli effetti del Covid su occupazione e investimenti delle imprese nel biennio 2020-2021 riportate dal Rapporto Cerved Pmi 2020, gli autori collocano la perdita complessiva di posti di lavoro nel Paese intorno a 1,9 milioni di lavoratori, con un tasso di disoccupazione che balzerebbe dal 10% al 17% entro la fine del 2021. Una situazione aggravata contestualmente dalla contrazione degli investimenti delle imprese che rischierebbero di calare di circa 65 miliardi di euro. Queste cifre, però, si ripartirebbero tra le province con differenze territoriali non trascurabili. A soffrire sarebbero soprattutto le aree del Mezzogiorno come Messina, Trapani, Vibo Valentia, Catanzaro, Sud Sardegna e Agrigento, già caratterizzate da indici di sostenibilità sociale molto bassi e con un tasso di disoccupazione maggiore della media. L’analisi indica effetti rilevanti anche in alcune province del Centro-Nord del Paese, che hanno una criticità proprio sui temi della sostenibilità sociale e in cui gli effetti del Covid sarebbero particolarmente pesanti, come Aosta (per cui si prevede una perdita del 15% del numero di occupati), Livorno (14%), Imperia (12,5%) e Savona (13%). Gli effetti della pandemia sulla disoccupazione potrebbero essere particolarmente gravi per la condizione giovanile nelle aree in cui si osserva già un elevato numero di ragazzi che non studiano e non lavorano (Neet).
Oltre all’analisi concentrata sui temi relativi all’Italia, la mappa ha permesso di comparare il sistema economico nazionale con le principali economie dei nostri partner europei. Il quadro che emerge è molto negativo: “L’economia italiana è il grande malato d’Europa: si è praticamente fermata venti anni fa, con una stagnazione della produttività che si lega a un insufficiente grado di digitalizzazione del sistema”, si legge nel report. Ad essere particolarmente debole è il nostro mercato del lavoro, che già prima del Covid-19 impiegava un numero di donne e di giovani largamente inferiore a quello dei maggiori Paesi europei.
Inoltre, con la più elevata dipendenza dalla popolazione anziana osservata in Europa, è evidente che un sistema come quello italiano sia poco sostenibile nel medio-lungo periodo, con conseguenze che già si sono manifestate sulle prestazioni sociali e sui livelli di welfare. La pandemia, infatti, ha già messo a nudo le difficoltà di un sistema sanitario che offre solo 314 posti letto ogni 100mila abitanti, a fronte dei 500 dell’Unione europea e gli 800 della Germania, e con inadeguate capacità di assistenza nel territorio.
L’Italia fa invece registrare performance più incoraggianti nel campo della tutela ambientale. Sia per quello che riguarda le emissioni di gas serra, sia in termini di energia prodotta da fonti rinnovabili, i dati per il nostro Paese risultano migliori delle medie europee. Un buon punto di partenza verso l’obiettivo Ue di azzeramento delle emissioni inquinanti entro il 2050. Ma anche un piano molto ambizioso, si legge nel report, che avrà necessariamente bisogno di “un ripensamento del modello produttivo”.
da asvis.it