Autorizzazione paesaggistica: il Consiglio di Stato sulle ragioni del diniego

Vincoli paesaggistici, area edificata, richiesta di autorizzazione paesaggistica e diniego, in sede di conferenza dei servizi, da parte della Soprintendenza che secondo il TAR sarebbe immotivato, in quanto esso si limiterebbe “ad una mera descrizione del progetto ed all’assiomatica espressione di un giudizio di incompatibilità”. Ma quando si parla di edilizia, nulla è ciò che sembra e una sentenza di primo grado è pronta per essere ribaltata nel secondo grado di giudizio.

È quanto accaduto nella nuova sentenza del Consiglio di Stato che pubblichiamo (la n. 3067 del 14 aprile 2021) resa in riferimento ad un ricorso presentato dal Ministero per i beni e le attività culturali per l’annullamento di una decisione di primo grado con la quale il TAR aveva accolto le deduzioni del ricorrente in merito al diniego di nulla osta nell’ambito della conferenza di servizi decisoria, su una istanza per la realizzazione di un nuovo insediamento commerciale e direzionale.

In particolare, il TAR aveva accolto il ricorso di una società che aveva contestato il diniego appurando (con tanto di aerofotogrammetrie di Google Earth che i giudici hanno nuovamente confermato il valore di prova, in quanto rappresentazione di fatti) che l’aera, pur essendo soggetta a vincolo paesaggistico o archeologico, era già stata urbanizzata e antropizzata con altre strutture commerciali di notevoli dimensioni.

Secondo il TAR il parere negativo della Soprintendenza sarebbe immotivato, in quanto esso si limiterebbe “ad una mera descrizione del progetto ed all’assiomatica espressione di un giudizio di incompatibilità”.

Ma, come scritto in premessa, quando si parla di normative edilizie o, come in questo caso, di codice dei beni culturali e di vincoli, tutto può cambiare passando da un grado di giudizio ad un altro.

In secondo grado, infatti, il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza di primo grado rilevando un aspetto fondamentale. Premesso che nel caso di specie il vincolo paesaggistico e archeologico esiste ed è incontestato, per i giudici di secondo grado vale il principio per cui l’avvenuta edificazione di un’area o il suo degrado non costituiscono ragione sufficiente per escludere l’imposizione di un vincolo, e a maggiore ragione il giudizio di incompatibilità di un intervento con il vincolo esistente, che in sintesi va a limitare i danni ulteriori e a proteggere quanto rimasto dell’originario valore paesaggistico. Gli organi preposti alla tutela dei vincoli paesaggistici o archeologici devono valutare come “salvare il salvabile”.

Proprio per questo la sentenza di primo grado è stata riformata e il provvedimento di diniego della Soprintendenza confermato.

Fonte: lavoripubblici.it

Sentenza Consiglio di Stato n. 3067 del 14.04.2021

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