Oggi sapremo che cosa deciderà il tribunale di Mansura sulle accuse rivolte a @patrickzaki1, siamo in una moltitudine a sperare sia #GO #FreePatrick. ALI fa sentire ancora la propria voce con le altre associazioni impegnate in una campagna di libertà.
La quarta udienza del processo si preannuncia “decisiva”. E sebbene Patrick sia in teoria ancora in bilico tra la libertà da assaporare in pieno a Bologna e il rischio di altri cinque anni di carcere in Egitto, in ambienti vicini allo studente e attivista egiziano si respira un’aria di cauto ottimismo. Ci si aspetta una sentenza o almeno la fissazione di una data per pronunciarla, come ha confermato all’ANSA la sua legale principale, Hoda Nasrallah. “La seduta è decisiva perché se l’accusa autorizza gli avvocati ad assistervi questi faranno le loro arringhe e chiederanno che venga emessa una sentenza”, ha riferito l’avvocata, capo del pool di avvocati che difende lo studente egiziano dell’Università di Bologna. Se la sentenza non verrà pronunciata proprio domani, almeno “sarà fissata un’altra data” per annunciarla “e concludere questo processo”, ha aggiunto Hoda. Dopo 22 mesi di custodia cautelare in carcere, Patrick è stato rilasciato l’8 dicembre pur restando imputato nel processo a suo carico per “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese”. Il reato, secondo la Procura, sarebbe stato perpetrato attraverso un suo articolo del 2019 sui cristiani in Egitto perseguitati dall’Isis e discriminati da frange della società musulmana. Il massimo della pena per questo tipo di accusa è di cinque anni di reclusione. Una fonte in contatto con lui lo descrive come relativamente fiducioso di ottenere un’assoluzione che gli permetta di tornare presto nella sua amata Bologna. Del resto lo stesso Zaki, in un’intervista ai microfoni della Rai diffusa domenica, aveva detto di voler essere “ottimista”: “Spero di essere finalmente assolto per tornare alla mia università”. Né Patrick né i suoi legali sembrano dunque preoccupati per le accuse di istigazione al terrorismo che lo avevano tenuto per oltre un anno e mezzo in custodia cautelare soprattutto nel carcere cairota di Tora. Le imputazioni basate sui fantomatici dieci post Facebook di controversa attribuzione erano state accantonate (sebbene formalmente non archiviate) per dar vita al processo imperniato sull’articolo sui copti.