Durante la visita di Stato in Etiopia, la presidente Giorgia Meloni ha ribadito e reso ufficiale la linea sulla presentazione delle modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sollevando polemiche in Parlamento. Meloni ha affermato che si sta prendendo il tempo necessario per presentare un lavoro all’altezza nel rispetto delle prescrizioni dell’Unione Europea. La Commissione Europea ha concesso all’Italia una prima scadenza di presentazione delle modifiche al 30 aprile, mentre il termine ultimo è stato fissato al 31 agosto. Tuttavia, una volta presentate le modifiche, la Commissione Ue avrà due mesi per valutarle e di un altro mese disporrà il Consiglio dei Ministri Ue per approvarle. Ciò significherebbe un’approvazione definitiva a fine novembre. Stando così le cose, se non riuscisse a destinare le risorse residue entro la fine dell’anno, l’Italia rischierebbe di perdere fino al 30% dei fondi europei.
Poco concorso ai bandi. Cause e soluzioni
Nonostante gli importanti investimenti previsti dal PNRR nel settore delle infrastrutture ferroviarie, i bandi di gara con importi superiori a 40 milioni, da settembre in poi, hanno incontrato una scarsa risposta da parte dei costruttori. In passato, l’annuncio di un avviso di chiamata avrebbe scatenato la concorrenza tra le imprese, ma i costruttori non sembrano rispondere più come un tempo a questo tipo di annunci. La mancata affluenza di risposte ha la nefasta conseguenza di mettere a rischio la tempistica prevista per l’attuazione degli investimenti. Una tale situazione è riconducibile alla crisi economica del 2008 che ha decimato il settore delle costruzioni riducendone il numero di grandi imprese partecipanti alle gare d’appalto. In aggiunta, va considerato come le medie imprese abbiano difficoltà a trovare cauzioni e garanzie necessarie per partecipare alle competizioni. Ciò impedisce loro di prendere parte alle gare e influisce sui tempi di definizione dei contratti dopo l’assegnazione. Di conseguenza, la media dei partecipanti a una competizione è scesa a 3,5. In questo contesto emergono due rischi principali: ritardi nella catena dei tempi causati da proroghe già concesse sulla scadenza iniziale dei bandi e la possibilità che le poche imprese che partecipano alle gare portino ad una forte concentrazione dei cantieri finanziati dal Recovery in poche mani con il conseguente rischio di effetto domino in caso di eventuali difficoltà. Gli emendamenti al decreto PNRR-3 approvati dal Senato prevedono lo svincolo progressivo della cauzione definitiva per i contratti in corso di esecuzione affidati dalle stazioni appaltanti che operano nei settori speciali come Rfi. Infine, si sta lavorando per coinvolgere Sace e prevedere la possibilità di avvalersi di riassicuratori e controgaranti del mercato privato al fine di ottimizzare la gestione del rischio. Si tratta di iniziative che potrebbero aiutare a prevenire il problema, ma la loro efficacia definitiva resta tutta da scoprire.
I cittadini esprimono poca fiducia nei risultati del PNRR
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta un’opportunità unica e forse irripetibile per affrontare i problemi strutturali e favorire un processo di crescita del Paese. Tuttavia, la percentuale di italiani che conoscono approfonditamente il PNRR è solamente del 12%, mentre il 44% lo conosce solo in parte. Secondo un’indagine di Nando Pagnoncelli, la maggior parte dei cittadini ritiene che la missione più importante del PNRR sia quella della salute (citata dal 50%), seguita dalla rivoluzione verde e transizione ecologica (27%) e dall’istruzione e ricerca scientifica (24%). Nel complesso, tuttavia, emerge un discreto scetticismo sulla possibilità che il PNRR possa risolvere i problemi strutturali e rilanciare l’economia del Paese: un italiano su due esprime poca (36%) o nessuna (13%) fiducia in proposito, mentre soltanto uno su tre dice di averne molta (4%) o abbastanza (31%). E una quota esigua (3%) prevede che verrà realizzato oltre il 90% dei progetti contenuti nel piano, mentre la maggioranza relativa (36%) è convinta che non arriveremo al 60%. Uno su cinque (21%) mette in discussione le capacità del governo (la percentuale sale al 43% tra gli elettori del Pd e del M5s), mentre il 13% dubita delle capacità dei comuni e dei sindaci di «mettere a terra» i progetti e il 12% imputa il possibile flop alla mancanza di coraggio della politica preoccupata di perdere consenso per l’impopolarità di alcune riforme. Senza il consenso popolare, attuare le riforme necessarie per ottenere i finanziamenti europei risulta difficile: è infatti improbabile che i cittadini si dimostrino disponibili a cambiare le proprie abitudini o a rinunciare ai diritti acquisiti. Come superare il problema? Forse attraverso una campagna di coinvolgimento dei cittadini, focalizzata non solo sugli aspetti tecnici e normativi ma anche sui benefici che potremmo ottenere realizzando il piano proposto.
da osservatoriorecovery.it
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