Il Rapporto annuale dell’Istat che pubblichiamo rivela che dietro alcuni dati economici positivi, che sarebbe ingiusto sottovalutare, si nascondono grandi fragilità, profonde disuguaglianze sociali e territoriali, ritardi che emergono soprattutto nel confronto con altri Paesi europei. Dopo il crollo del 2020 l’Italia è tornata a crescere a un ritmo superiore a quello medio dell’Unione europea e per l’anno in corso la stessa Ue ha ritoccato al rialzo le previsioni (da +0,7% a +0,9%); la bilancia commerciale, che nel 2022 era in deficit per oltre 30 miliardi di euro a causa del boom del costo dell’energia, nel 2023 ha registrato un surplus di 34,5 miliardi; alla crescita economica si è associato un buon andamento del mercato del lavoro, con il numero degli occupati che nel 2023 ha continuato ad aumentare (+2,1%) nonostante il rallentamento dell’attività economica.
Ma le tendenze di fondo non autorizzano facili ottimismi, anzi. Sul piano demografico l’Italia ha perso oltre 3 milioni di giovani nell’arco di vent’anni mentre negli ultimi trent’anni gli anziani gli over 65 sono aumentati del 54,4%. Il fenomeno è particolarmente grave nel Mezzogiorno perché si sommano denatalità e ripresa dei flussi migratori in uscita. Il Pil reale è tornato ai livelli del 2007 – l’anno della grande crisi finanziaria – soltanto alla fine del 2023. E in questo periodo si è accumulato un divario negativo di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, di 14 con la Francia e di 17 con la Germania. L’inflazione, che in questi primi mesi del 2024 ha decisamente rallentato, nel 2022 aveva toccato un picco del 12,6%, il livello più elevato tra le maggiori economie della Ue. E l’andamento dei prezzi si è abbattuto pesantemente sulla situazione delle famiglie, stante il cronico problema dei salari che non tengono il passo con l’inflazione (nel 2021-2023 i primi sono cresciuti del 4,7%, la seconda del 17,3%), colpendo soprattutto le fasce della popolazione meno abbienti. Negli ultimi dieci anni le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi hanno subito una riduzione del volume degli acquisti dell’8,8% e dell’8,1%, quelle del ceto medio tra il 6,3 e il 7,3% mentre le famiglie più ricche hanno contenuto le perdite al 3,2%.
Per quanto riguarda l’occupazione, negli ultimi vent’anni i divari con le maggiori economie europee non sono diminuiti e in alcuni casi sono addirittura aumentati. Nel 2023 il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni era inferiore di 15,9 punti rispetto alla Germania, di 6,9 e di 3,9 nei confronti di Francia e Spagna. Il fenomeno del lavoro “povero” fa sì che una parte molto elevata degli occupati versi in condizioni di vulnerabilità economica. Spicca il dato sul part-time involontario (cioè non scelto) che è il più alto tra i Paesi comparabili al nostro. Peggiorano gli indicatori di povertà assoluta. Si trovano in questa condizione 2 milioni e 235 mila famiglie (8,5% del totale, due punti in più rispetto al 2014) e l’aumento colpisce soprattutto le fasce di popolazione in età lavorativa e con figli. L’incidenza della povertà è più alta al Sud e nelle Isole.
Il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, nel suo intervento di presentazione del Rapporto ha sottolineato che “la ridotta partecipazione alla forza lavoro di giovani e donne aggrava l’effetto negativo del declino demografico sulla numerosità e sulla struttura della popolazione in età di lavoro” e ha indicato come snodo cruciale “l’aumento dei tassi di occupazione di queste componenti della popolazione al livello medio europeo attuale” che “permetterebbe di compensare gran parte dell’effetto di riduzione di popolazione in età attiva sugli occupati prevista dagli scenari demografici”.
da agensir.it
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