Nel suo parere, il Consiglio di Stato preliminarmente stigmatizza “la prassi di redazione postuma delle relazioni AIR e ATN rispetto all’esame preliminare da parte del Consiglio dei Ministri dello schema di decreto e alla trasmissione dello stesso atto a questo Consiglio. La redazione della relazione AIR costituisce infatti un elemento imprescindibile ai fini della completezza dell’istruttoria degli atti normativi secondo la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 febbraio 2009. Una tale prassi è foriera di inspiegabili difformità di contenuti dei documenti, come ad esempio, nella fattispecie, la mancanza di riferimento, nell’art. 3, comma 1, all’interesse “della salute e della sicurezza pubblica”, di cui all’art. 16-septies introdotto dalla direttiva 2024/2413, che è invece richiamato nel paragrafo 1.1 della relazione AIR”.
Secondo Palazzo Spada “traspare dall’esame dell’atto una tecnica normativa lacunosa, non solo non puntualmente correlata alle specifiche previsioni delle fonti dell’Unione europea, ma anche sostanzialmente antitetica, laddove adotta il metodo delle abrogazioni aspecifiche, all’obiettivo della semplificazione del quadro normativo nazionale”.
Tra le lacune rilevate rispetto al procedimento previsto dalla disposizione di delega, il Consiglio di Stato segnala “la mancanza, nella documentazione in atti, dell’intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che, secondo la formulazione del citato art. 26, comma 7, deve essere acquisita previamente anche rispetto al parere del Consiglio di Stato.
In proposito, la nota in data 9 settembre 2024 del Capo dell’ufficio legislativo del Ministro per la pubblica amministrazione rappresenta che “la seduta da parte della Conferenza unificata non risulta allo stato calendarizzata”, riservandosi la trasmissione del verbale “al fine di consentire l’espressione del parere”.
Anche la mancanza dell’intesa attiene ad un elemento di rilievo sul piano sostanziale alla luce dell’assetto costituzionale delle competenze dello Stato e delle regioni e dell’obiettivo di intervenire anche sulla disomogeneità territoriale nei tempi di conseguimento dei titoli necessari alla realizzazione degli impianti”, osserva Palazzo Spada.
Nella riunione del 7 agosto 2024, il Consiglio dei ministri aveva approvato in via preliminare lo schema di Testo Unico Rinnovabili, cioè lo schema di decreto legislativo recante “disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell’art. 26, commi 4 e 5, lett. b) e d), legge n. 118/2022”.
Il provvedimento reca la firma del Ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, del Ministro per le Riforme Istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati e del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto.
Lo schema individua i regimi amministrativi per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, dei sistemi di accumulo, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla realizzazione degli impianti stessi.
Il provvedimento risponde agli obiettivi di semplificazione individuati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Sono tre i “binari” individuati dallo schema, a seconda della tipologia, della dimensione e della localizzazione degli impianti: l’attività libera, la procedura abilitativa semplificata o l’Autorizzazione unica.
Il nuovo provvedimento dispone che l’attività libera non richieda atti di assenso o dichiarazioni, tranne in caso di vincoli paesaggistici, nel quale l’autorità dovrà esprimersi entro trenta giorni (oggi il termine è di almeno 45 giorni).
La “PAS”, procedura abilitativa semplificata, riguarda invece progetti che non richiedono procedimento di “permitting” e non sono assoggettati a valutazioni ambientali: a seconda delle casistiche, con l’eventuale coinvolgimento di più amministrazioni, si va da un minimo di 30 giorni ad un massimo di 75 per terminare la procedura. Oggi quest’ultimo termine può essere sospeso senza fissare alcun limite massimo per tale sospensione potendo, dunque, la procedura, durare anche due anni.
L’istanza di Autorizzazione Unica va invece presentata alla Regione per impianti sotto i 300 megawatt e oltre quella soglia al MASE: rientrano in quest’ultima casistica gli impianti off-shore. Il procedimento, a seconda della complessità può durare 175 giorni, nel caso di progetti non sottoposti a valutazioni ambientali, fino a 420 giorni, nella più complessa delle ipotesi, dovendo prevedere in quest’ultima anche la Verifica di assoggettabilità a VIA e la Valutazione d’Impatto Ambientale. Finora la legge ha previsto un termine di 60 o 90 giorni per la durata del procedimento di autorizzazione, senza, tuttavia, chiarire il tempo occorrente per la verifica di completezza della documentazione e comunque al netto dei tempi per le valutazioni ambientali.