Trasporto locale e a lunga percorrenza devono affrontare sfide diverse nel dopo-lockdown. Per il primo, fortemente sussidiato, il problema è soprattutto organizzativo. Nel lungo raggio si prefigura l’uscita dal mercato di molte aziende.
I problemi del trasporto locale La “fase 2” dell’epidemia di Covid-19 ha riacceso i riflettori sui trasporti, in particolare su quelli locali chiamati a sostenere la ripresa delle attività (in effetti mai davvero sospese) garantendo regole di distanziamento prima impensabili. Regole simili, anzi più restrittive, sono richieste anche al trasporto a lunga percorrenza, che dovrà fronteggiare pure un secondo problema, altrettanto grave: la mancanza di ricavi.
Cercheremo qui di chiarire le differenze tra i due settori, mostrando che il problema del trasporto pubblico locale è essenzialmente organizzativo, mentre nella lunga percorrenza, quasi interamente a mercato, è in gioco semplicemente la sopravvivenza di molte aziende.
Durante il lockdown le aziende di trasporto pubblico locale (Tpl) e i treni regionali hanno continuato a operare, con frequenze ridotte e una frazione dei passeggeri usuali. Conseguenze: ricavi azzerati e costi quasi immutati. Tutto il trasporto pubblico locale, però, è basato su una duplice fonte di ricavi: biglietti e contributi. Il rapporto tra i due è variabile tra azienda e azienda, sebbene per tutti dovrebbe essere almeno pari al 35 per cento di ricavi e al 65 per cento di contributo dagli enti locali, spesso su fondi nazionali.
Se durante l’epidemia i costi sono scesi – poniamo – del 10 per cento, i ricavi si sono quasi azzerati, creando una situazione di buco non indifferente. Uno schema simile continuerà anche nella “fase 2”, ma con costi più alti e qualche ricavo in più. Si tratta di molti soldi, ma, almeno, alle aziende sono già stati garantiti con il decreto Rilancio 500 milioni di euro a compensazione dei danni e come anticipo dei contributi. Il problema delle aziende Tpl nella “fase 2” è dunque essenzialmente organizzativo (garantire il distanziamento) e normativo (non finire nei guai perché non si è garantito il distanziamento).
Cosa accadrà nella “fase 3”, quando cioè non vi sarà più necessità di distanziamento e la capacità tornerà a regime? Chiaramente non è facile prevederlo, ma è probabile che si cronicizzi un calo della domanda per effetto di residua paura e soprattutto della crisi economica, e pure per un maggior utilizzo dello smart working e, forse, anche di cambiamenti di residenza delle persone. L’ordine di grandezza potrebbe essere di un calo strutturale del 10-20 per cento.
Potrebbe sembrare un problema, ma è probabile che non sia così. Molte aziende Tpl, quelle delle città più piccole, trasportano quasi esclusivamente categorie deboli: anziani, minorenni e la frazione di popolazione più povera o svantaggiata che non dispone di un’auto. Queste categorie non cambieranno molto la loro mobilità: continueranno a prendere l’autobus. Le aziende perderanno una frazione piccola di quella parte già piccola (dovrebbe essere il 35 per cento, ma spesso è meno) coperta dai biglietti. Nelle città più grandi il calo potrebbe essere quello prospettato, ma stiamo comunque parlando di non più di un -5 o -10 per cento di ricavi. Molti milioni, che qualcuno certamente dovrà coprire, ma che non sconvolgono gli equilibri.
C’è però un altro fattore: spesso, nelle grandi città, il sistema Tpl era già sotto pressione prima della crisi per eccesso di domanda. Un calo dei passeggeri e una loro redistribuzione nella giornata, se qualcuno garantisce i ricavi mancanti, potrebbe essere un beneficio per alcune realtà, che potranno ridurre straordinari, manutenzioni di emergenza, rotture dei mezzi per sovra-utilizzo, manutenzioni durante l’esercizio e via dicendo.
La lunga percorrenza (a mercato) La lunga percorrenza, cioè aerei, autobus e buona parte dei treni nazionali, si preparano invece – in un discreto silenzio delle istituzioni – a una tempesta perfetta. Non stiamo parlando di perdite. Stiamo parlando di scomparsa delle aziende e soprattutto della rete per effetto del solo periodo transitorio della “fase 2”, di cui nessuno sembra essersi occupato.
Vediamo quali sono gli ingredienti del probabile disastro:
- La lunga percorrenza ha ricavi al 100 per cento da mercato;
- La crisi economica causerà importanti cali della domanda, certamente superiori a quel 10-20 per cento prospettato per il Tpl;
- Le frontiere rimarranno chiuse, almeno parzialmente, per un bel po’: dunque meno viaggi d’affari e meno turismo;
- Abbiamo imparato a fare le teleconferenze.
A questi fattori “ovvii” se ne devono aggiungere due, meno intuitivi:
- Finché permangono gli standard di distanziamento attuali (diciamo massimo 50 per cento di load factor) nessun servizio di lunga percorrenza (a parte il Milano-Roma naturalmente) può andare a breakeven: se i costi sono gli stessi, i ricavi unitari dovrebbero quasi raddoppiare (a meno del margine). Ma se raddoppiano i prezzi medi dei biglietti, molta meno gente viaggerà e dunque difficilmente vi sarà equilibrio.
- A ciò si aggiunge il problema, drammatico, della sovraccapacità, che rimarrà anche dopo: tutte le aziende della lunga percorrenza negli ultimi anni hanno investito in materiale rotabile perché la domanda stava crescendo enormemente. Quasi tutti i bus sono nuovi, con una rete molto più estesa di quella storica. Trenitalia e Italo hanno quasi raddoppiato la flotta alta velocità. In aviazione gli aerei nuovi od ordinati sono migliaia in Europa. Tutta questa capacità ridurrà i margini, ma non i costi, provocando ulteriore instabilità.
Cosa dobbiamo aspettarci quindi? Molte aziende scompariranno (aerolinee e autolinee, ma anche il business alta velocità sarà a rischio) e quelle superstiti avranno costi maggiori. La scomparsa non dipenderà dalla loro efficienza, ma da quanto verranno protette o garantite. La concorrenza si ridurrà, ma i prezzi non potranno crescere all’infinito, perché i passeggeri non hanno la disponibilità a pagare di prima e perché c’è sovraccapacità.
L’unica cosa che possono fare le aziende superstiti sarà tagliare la rete, concentrandosi su poche rotte certamente remunerative alle nuove condizioni. Cioè esattamente quello che erano i mercati negli anni Novanta.
In conclusione, il problema delle aziende Tpl è enorme, ma di tipo organizzativo. Un calo strutturale della domanda nelle città potrebbe essere un problema per le municipalità (se tanti passano all’auto), per le amministrazioni e lo stato centrale (che saranno chiamati ad aumentare i contributi o i biglietti), ma non per le aziende.
Per il segmento di lunga percorrenza a mercato, invece, una diminuzione della domanda, anche piccola, è in grado di cancellare in breve tempo non solo molte aziende (il che potrebbe essere anche considerato fisiologico), ma soprattutto le condizioni di concorrenza e di estensione della rete a cui stiamo stati abituati nell’ultimo decennio. Quindi non si tratta di chiedere aiuti per superare la “fase 2”, ma di immaginare un assetto stabile (e non è affatto probabile che vi sia) nella “fase 3” di cronicizzazione. Quel che è certo è che potremo viaggiare molto, molto meno.
Da lavoce.info, di Paolo Beria