Smart working, nell’emergenza rappresenta la modalità ordinaria per chi lavora nella PA

Di fronte all’obiettivo primario di ridurre al minimo la mobilità delle persone  e limitare le probabilità di  contagio  e diffusione del COVID – 19 la modalità di lavoro agile diventa la regola nella pubblica amministrazione ed è fortemente raccomandata nel settore privato.

Le misure straordinarie del Decreto Cura Italia rafforzano il dettato della circolare Dadone e per tutto il periodo dell’emergenza lo smart working rappresenta la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa delle pubbliche amministrazioni. La presenza sul posto di lavoro è limitata ad assicurare le attività indifferibili e che non si possono svolgere da remoto, quali gli sportelli al pubblico.

L’avvio immediato dello smart working è prioritario: se non è possibile ricorrere all’attivazione dell’istituto le amministrazioni incentiveranno  l’uso delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione  fino ad arrivare- qualora risultino indisponibili tali strumenti- alla possibilità di esentare il lavoratore dal servizio che però resterà ugualmente prestato con riconoscimento di retribuzione e contribuzione.  Inoltre, per sopperire all’insufficienza delle dotazioni informatiche della PA il lavoratore può utilizzare strumenti informatici propri. Poiché il lavoro agile interessa qualsiasi rapporto di lavoro subordinato ed una platea sempre più vasta di destinatari è stata semplificata la procedura di acquisto di pc e tablet da parte della PA, in deroga al Codice degli appalti. La procedura negoziata senza previa  pubblicazione del bando di gara sarà la regola da seguire per accelerare gli acquisti.

Ma anche le aziende private, nei casi in cui è possibile, devono far partire lo smart working. Se è vero che il lavoro agile non rappresenta un diritto che il lavoratore può pretendere, ne resta tuttavia fortemente raccomandata l’adozione in quanto è importante ridurre il numero di personale negli uffici e le occasioni di contagio.  Spetta al datore di lavoro, su cui grava anche la responsabilità sanitaria, valutarne la praticabilità, in considerazione degli aspetti organizzativi e delle misure sanitarie poste in atto a tutela del lavoratore.

Per il settore privato è il Decreto Cura Italia a stabilire il diritto di precedenza allo smart working, a tutela delle categorie più deboli. Chi ha gravi e comprovate patologie deve avere la precedenza nel riconoscimento e accoglimento dell’istanza. Particolare attenzione anche ai lavoratori dipendenti che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità ospitata in centri riabilitativi chiusi dl provvedimento. In questo caso i datori di lavoro sono tenuti ad autorizzare la modalità di lavoro agile. Se il disabile è anche minore l’istanza non può essere rifiutata, purchè non sia incompatibile con le caratteristiche dell’impresa.

Come per il settore pubblico anche per imprese e professionisti sono in arrivo aiuti per lo smart working. I contributi dell’ente bilaterale Ebipro e i bandi della Regione Lazio e Lombardia per  rimborsare e finanziare l’acquisto di PC e altre attrezzature informatiche vanno in questa direzione.

L’emergenza Coronavirus ha accelerato la partenza dello smart working nella PA e interessato anche il mondo produttivo che si è trovato a gestire in maniera improvvisata questo strumento. Tuttavia, il ricorso al lavoro agile rappresenta un’opportunità per datori di lavoro e lavoratori per scoprirne benefici e limiti.

La rassegna stampa di oggi sullo SMART WORKING

Precedente

Covid19, ecco il nuovo modello per le autodichiarazioni

Successivo

Coronavirus: Uncem, aiutare i negozi montani e le edicole