È BOOM SMART WORKING, ANCHE PER PICCOLE E MICRO-IMPRESE. REPORT DELL’ISTAT DURANTE IL COVID-19

In soli tre mesi dall’1,2% all’8,8% del personale in lavoro agile. Dopo il lockdown si è scesi al 5,3%. Modalità da remoto per il 37,2% delle aziende fino a 50 addetti e per il 18,3% di quelle sotto i dieci. E la percentuale sale al 90% nelle grandi aziende e al 73,1% in quelle di medie dimensioni.

“Nei mesi immediatamente precedenti la crisi (gennaio e febbraio 2020), escludendo le imprese prive di lavori che possono essere svolti fuori dai locali aziendali, solo l’1,2% del personale era impiegato in lavoro a distanza”, si legge nel report. “Tra marzo e aprile questa quota sale improvvisamente all’8,8%”. L’incidenza di personale impiegato in modalità agile arriva al 21,6% nelle imprese di medie dimensioni dal 2,2% di gennaio/febbraio mentre nelle grandi dal 4,4% dei primi due mesi dell’anno accelera fino al 31,4%. I settori più coinvolti sono i servizi di informazione e comunicazione (da 5,0% a 48,8%), le attività professionali, scientifiche e tecniche (da 4,1% a 36,7%), l’istruzione (da 3,1% a 33,0%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (da 3,3% a 29,6%).

Il 90% delle grandi imprese (250 addetti e oltre) e il 73,1% delle imprese di dimensione media (50-249 addetti) hanno introdotto o esteso lo smart working durante l’emergenza Covid-19. È quanto emerge dal rapporto Istat sulla situazione e le prospettive del Paese. Ma il dato più importante è che anche le imprese di minori dimensioni hanno fatto ricorso al lavoro agile: è passato all’azione il 37,2% delle piccole (10-49 addetti) e il 18,3% delle microimprese (3-9 addetti). Scarica il report Istat

Il tema è stato approfondito, con un’inchiesta ad hoc, anche dal quotidiano Italia Oggi. Dal titolo “Uffici chiusi per smart working: il dibattito sugli effetti e sulle prospettive del lavoro agile”, Carlo Valentini mette in evidenza alcune criticità emerse in questi mesi puntando l’attenzione sulle autorizzazioni che non vengono rilasciate perché il personale è a casa. A Roma bloccata anche l’Anagrafe, a Prato il tribunale.

Il testo dell’inchiesta di Italia Oggi, condotta da Carlo Valentini:

Bene lo smart working (sw) ma se poi le pratiche e le certificazioni non avanzano e i rilasci dei documenti non avvengono come si fa? Chi necessita di autorizzazioni ovviamente rimane bloccato, coi conseguenti danni economici e non solo. C’è chi si lamenta e parla di ulteriori, insopportabili lungaggini burocratiche, e chi al contrario è entusiasta dello sw, come Raffaele Gareri, direttore del settore Trasformazione digitale di Roma Capitale: «Durante l’emergenza sono stati 8mila i dipendenti in smart working. Essi hanno dovuto contare anche sulla dotazione personale, mettendo a disposizione la propria connettività e i propri device. Un segno di collaborazione forte da parte di tutti. L’amministrazione vuole restare su un 30% circa di lavoratori in smart working». Sull’altro fronte, quello degli utenti, il primo j’accuse è di Nicolò Rebecchini, presidente di Ance Roma, cioè i costruttori della Capitale: «Il ricorso al lavoro agile sta rallentando ancora di più lo svolgimento dell’attività amministrativa. Continuare con il lavoro agile anche in questa fase significa non comprendere i problemi delle imprese. Ogni procedura edilizia necessita di metri cubi di carta, non si tratta di stare di fronte a un computer. Se prima ci mettevamo dei mesi per ottenere risposte oggi i tempi sono biblici. Sono due mesi e mezzo che viene favorito il lavoro agile. L’amministrazione dice di non essersi mai fermata ma noi abbiamo dei dubbi perché non abbiamo visto nessun risultato. E se i risultati non ci sono ci chiediamo: cosa è stato fatto? L’amministrazione si renda conto che il lavoro agile non funziona. Non ho niente contro i dipendenti ma il paradosso è che ad agosto potranno anche richiedere le ferie perché risulta che hanno continuato a lavorare. Il personale deve recarsi in ufficio per poter lavorare». La protesta dei costruttori è stata raccolta da Davide Bordoni, consigliere in Comune della Lega: «L’edilizia è nel caos e il lavoro agile non sopperisce al carico di lavoro. Una necessità nata durante l’emergenza del Covid, sbandierata come riforma epocale della pubblica amministrazione, si è trasformata in una parabola discendente verso la paralisi degli uffici. La sindaca Virginia Raggi aveva assicurato: ‘non si lavorerà più contando le ore ma gli obiettivi’. Che cosa abbiano prodotto tre mesi di lavoro agile negli uffici dell’urbanistica e dell’edilizia se lo stanno chiedendo in molti. Permessi a costruire, conferenze dei servizi, nulla osta, rilasci autorizzativi, tutto fermo». Ma gli uffici vuoti piacciono alla Raggi, e non solo. La collega 5stelle, ministra della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, vuole addirittura lo sw per almeno il 40% dei dipendenti pubblici. Se l’edilizia sta aggiungendo alla catastrofe del lockdown la tragedia di una mancata ripartenza a causa degli uffici che non rilasciano certificati e autorizzazioni, non meglio va per quanto concerne l’Anagrafe: a Roma giacciono 72.527 richieste di rinnovo della carta d’identità ma molti impiegati sono a casa in smart working mentre chi è in ufficio deve mantenere le distanze e (ovviamente) rispettare le regole. Il risultato è che se si procederà così al rallentatore il pregresso rischia di non essere mai colmato, con buona pace dell’assessore all’Anagrafe, Antonio De Santis, che riconosce: «Il blocco necessario di tante attività durante il lockdown ha generato alcune criticità, soprattutto legate a un accumulo di pratiche e documenti che con una ripresa graduale rischiano di costituire una mole enorme». Incominciano a emergere strappi lamentosi nel sipario un po’ troppo enfatico che ha accompagnato la forzosa e improvvisa scoperta dello sw. Anche chi ha a che fare con gli uffici giudiziari non nasconde le proprie preoccupazioni. Di fronte al sindacato Fp-Cgil che loda lo smart working perché si è «rivelato un efficace e fruttuoso strumento», la Camera Penale (che raggruppa gli avvocati) di Prato ribatte: «Tutti hanno ripreso a vivere e a lavorare mentre i tribunali, dove ci si muove peraltro abitualmente in spazi particolarmente ampi, sono desolatamente vuoti… il cosiddetto lavoro agile o smart working non consente l’espletamento di attività che sono essenziali per una effettiva ripresa delle attività giudiziarie». Ci si lamenta pure in Sicilia per le autorizzazioni che non arrivano e i certificati che non vengono rilasciati. Il 31 maggio l’Ufficio personale della Regione su 14mila dipendenti ne è riuscito a censire solo 8.231 perché non è stato possibile identificare con precisione la posizione degli altri. Di quelli censiti il 64,5% (cioè 5.311) è in smart working e il 19,5% (1.612) assente «per altri motivi». Il fatto è che sono risultati in sw dipendenti privi di pc, di connessione a Internet o con qualifiche, quale quella di portierato, che è difficile immaginare da remoto. Mentre in Alto Adige lo smart working è possibile, in vista dell’estate, anche da una seconda casa, cioè, si presume, mentre si è in vacanza. La circolare partita da Bolzano (firmata dal dirigente Albrecht Matzneller), informa che «Viene permesso lo svolgimento del lavoro in modo smart working anche presso un secondo domicilio di proprietà diretta o di un congiunto, oppure regolarmente locato». I sindacati premono per la diffusione dello smart working e hanno incominciato a reclamare che l’amministrazione paghi le spese (per esempio la luce o il wifi) sostenute dal dipendente oltre al mantenimento del diritto ai buoni-pasto. Fa eccezione il sindacato autonomo Flp (federazione lavoratori pubblici) che da Benevento va esplicitamente controcorrente: «Sarebbe un grave controsenso sostituire il lavoro ordinario negli uffici pubblici con il lavoro agile da casa creando un vuoto e un distacco tra cittadini e istituzioni. Poniamo seri dubbi sull’efficienza e sulla qualità dei servizi pubblici con potenziali disservizi alla collettività». La produttività della pubblica amministrazione è calata del 30%, in gran parte per l’abbandono degli uffici in seguito al coronavirus, col conseguente ricorso allo sw. Per cittadini e aziende si tratta di un costo in più da aggiungere ai 57,2 miliardi di euro che, secondo una ricerca della Cgia di Mestre, è il conto del cattivo funzionamento della pubblica amministrazione. Conclude Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi Cgia: «I decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio non hanno finora innescato gli effetti positivi che tutti auspicavano. All’opposto, hanno generato confusione, disorientamento e tanta irritazione da parte dei lavoratori e delle imprese nei confronti delle istituzioni pubbliche».

Precedente

EDILIZIA SCOLASTICA: IN ARRIVO CON PROCEDURA ACCELERATA 330 MILIONI

Successivo

VIA LIBERA AGLI ACCERTAMENTI DEI COMUNI: IL MEF CHIARISCE GLI EFFETTI DEL DECRETO LEGGE “CURA ITALIA”