SETTIMANA EUROPEA DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE. IL NESSO CHE C’È TRA MOBILITÀ SOSTENIBILE, WELFARE E PARITÀ DI GENERE

La Settimana Europea della Mobilità (SEM), promossa dalla Commissione Europea in collaborazione con un articolato partenariato, è giunta alla sua diciannovesima edizione. Ogni anno, tra il 16 e il 22 settembre, si svolgono moltissimi eventi organizzati da enti locali, associazioni di volontariato, imprese, singole persone e famiglie; si va dai giri turistici in bicicletta all’allestimento di punti di “marchiatura” delle biciclette (al fine di prevenire i furti), dall’organizzazione di gare all’interno delle aziende e/o sul territorio comunale per premiare dipendenti e aziende più costanti nel muoversi con i mezzi pubblici o con le biciclette alla sperimentazione di pedibus e bicibus per portare gli alunni a scuola. Tutte queste occasioni di incontro e movimento hanno in comune un intento informativo e dimostrativo in merito ai vantaggi della mobilità sostenibile e agli ostacoli che questa incontra nella sua diffusione. Il tema è sicuramente di grande interesse visto che quest’anno alla SEM aderiscono più di 2.500 città in tutto il Continente. E peraltro il numero di partecipanti è in costante aumento. La ricorrenza della SEM, oltre a sollecitare anche quest’anno incontri e manifestazioni di varia natura, sta poi stimolando nuove riflessioni alla luce dei grandi cambiamenti che la pandemia ha determinato e continuerà a determinare nei nostri stili di vita. Perché ne parliamo? Perché – a nostro parere – la mobilità e la sostenibilità sono anche materia di welfare: il benessere delle persone ha certamente molto a che fare con la salute, con il lavoro, con un’equa condivisione dello spazio pubblico, con una progettazione più inclusiva delle città e delle loro infrastrutture. Tutti temi chiamati in causa dalla SEM2020 che ci sembrano ambito specifico anche e specialmente del secondo welfare, visti i numerosi attori coinvolti e la governance necessaria per coordinarli in modo efficace.

Il tema di quest’anno e le lezioni apprese dalla pandemia

Il tema della SEM2020 – “Emissioni zero, mobilità per tutti” – sottolinea il legame tra mobilità e inclusione. Poiché la pandemia da Coronavirus è parsa un argomento ineludibile, il comitato promotore ha elaborato un manifesto contenente 10 lezioni sulla mobilità apprese durante il lockdown. Il manifesto della SEM2020 evidenzia innanzitutto l’importanza della salute respiratoria e di uno stile di vita attivo: secondo diversi studi – ancora in una fase iniziale – la vita sedentaria, l’obesità e l’inquinamento potrebbero essere tra i fattori in grado di incrementare i rischi collegati al Covid-19. Le città sono dunque chiamate a progettare infrastrutture e trasporti in grado di rispondere a queste sfide.

Un altro aspetto individuato dal manifesto della SEM2020 è il rapporto tra lavoro e mobilità: mai come in questi mesi abbiamo avuto modo di sperimentare lo smart working e il lavoro da casa, resi improvvisamente possibili per moltissimi lavoratori durante il lockdown. Le imprese sono invitate a prender parte alla sfida della sostenibilità favorendo il ricorso a modalità di lavoro che comportino un minor numero di spostamenti e trasferte; qualora questi siano necessari le aziende possono contribuire, per esempio, con l’introduzione della figura del mobility manager. Un ultimo tema centrale nel manifesto è quello dello spazio pubblico: esso ci appare in tutto il suo valore dopo le settimane di lockdown e in questi mesi in cui le occasioni di socialità sono segnate dai vincoli del distanziamento fisico. Le città devono dunque essere costruite per favorire il più possibile il movimento, il benessere e la comodità delle persone e non delle macchine (qualora, come spesso accade, gli interessi di persone e macchine siano incompatibili). Il comitato promotore sottolinea inoltre che alcuni gruppi di utenti della strada – persone con disabilità motoria, anziani, genitori con passeggini, ecc. – sono più vulnerabili ai problemi della mobilità: la progettazione delle città deve tenere conto prioritariamente delle loro esigenze per costruire un ambiente urbano inclusivo e realmente accessibile a tutti.

Tra mobilità e welfare: il trasporto pubblico locale

Come accennato nel paragrafo precedente, la progettazione dell’architettura e delle infrastrutture urbane deve tenere conto delle esigenze concrete dei cittadini: in questo senso le città possono svolgere un ruolo essenziale in termini di inclusione sociale e contrasto alle disuguaglianze. Una riflessione interessante, in questo senso, è stata condotta dalla giornalista e attivista Caroline Criado Perez che, nel suo ultimo libro (2020), affronta il problema dell’assenza di dati di genere illustrando le conseguenze nefaste di questa lacuna in politiche e decisioni che si dichiarano “neutre” rispetto al genere. Nella sezione dedicata alla vita quotidiana Criado Perez approfondisce i meccanismi di progettazione di alcuni servizi pubblici – dalla manutenzione delle strade in inverno alla programmazione del trasporto pubblico locale – evidenziando che molte decisioni in questi campi sono prese senza il supporto di dati empirici o comunque in assenza di dati disaggregati per genere. Le donne sono le principali utenti dei trasporti pubblici, ma i trasporti pubblici non sono progettati per loro. Questi ultimi sono infatti tendenzialmente progettati per privilegiare le esigenze lavorative, sia dal punto di vista degli orari che da quello dei percorsi (che, molto spesso, hanno un disegno a raggiera che converge verso il centro cittadino). Queste convinzioni si basano su due presupposti distorti: che i movimenti non legati al lavoro siano molto meno importanti – “come se le donne che viaggiano per svolgere un lavoro di cura fossero delle dilettanti perditempo” – e che la maggior parte degli spostamenti avvenga sul percorso lineare tra centro e periferia. La mobilità delle donne, che nella maggior parte dei casi si fanno carico del lavoro di cura familiare, non è perfettamente compatibile con questi assunti: i loro percorsi sono spesso caratterizzati dal cosiddetto trip-chaining (più tappe concatenate, magari di diversa natura, in vari punti della periferia e del centro cittadino). Il problema è aggravato dalla variabile della condizione socio-economica: i disagi della mobilità e del trasporto pubblico locale affliggono maggiormente le donne che appartengono a fasce di popolazione meno abbienti, poiché è più probabile che utilizzino i mezzi pubblici e che svolgano in prima persona il lavoro di cura (senza affidarlo a supporti esterni a pagamento). Privilegiare i mezzi pubblici a scapito dei mezzi privati appare dunque non solo una questione di mobilità sostenibile, ma anche una questione di politica sociale e di contrasto alle disuguaglianze di genere, razziali e sociali. Tenere conto delle esigenze di cura nella progettazione di tempi e percorsi può inoltre portare benefici in termini di conciliazione tra vita e lavoro per chiunque si faccia carico del lavoro di cura.
Nell’affrontare il tema della mobilità sostenibile bisogna evitare la strada della generalizzazione e della radicale contrapposizione tra i diversi utenti della strada: anche gli automobilisti usano la bicicletta, anche gli uomini si fanno carico del lavoro di cura, anche le donne hanno esigenze lavorative, e queste ultime non sono necessariamente incompatibili con le esigenze di cura. Tuttavia, in un’ottica di sostenibilità e di equità, dobbiamo ridisegnare i nostri spazi e percorsi urbani in modo più inclusivo e rispettoso dei reali bisogni e stili di vita di tutti e tutte. da secondowelfare.it, di Elisabetta Cibinel

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