LA SALUTE E L’OCCUPAZIONE. LE DISEGUAGLIANZE TERRITORIALI, DI RICCHEZZA E DI GENERE. COME GLI EFFETTI DEL COVID-19 HANNO ACUITO I DIVARI A TUTTI I LIVELLI

“Un virus microscopico è ora la minaccia numero uno nel nostro mondo”, ha detto il 24 settembre il segretario generale Antonio Guterres al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Del resto, l’epidemia di Covid-19, oltre agli impatti devastanti sulla salute, ha innescato diversi tipi di disuguaglianza su scala globale. Il primo aspetto riguarda proprio le disuguaglianze nel diritto alla salute. Diversi studi hanno evidenziato che le differenze socioeconomiche nella salute sono ampie e in crescita. È stato dimostrato che coloro che si trovano negli strati economici inferiori sono più propensi a contrarre il virus. Ad esempio, secondo ricerche effettuate nel Regno Unito e negli Stati Uniti, i gruppi etnici minoritari che partono in svantaggio per quanto riguarda l’accesso alle cure mediche, come i neri e gli ispanici, sono stati colpiti in modo sproporzionato dal Covid-19. Nelle economie avanzate, si assiste a tassi di mortalità più elevati tra i gruppi più emarginati.

D’altra parte, il rischio che la crisi impatti significativamente sulla povertà a livello globale è suffragato dalle previsioni delle Nazioni Unite. Il Sustainable development outlook 2020 calcola che fino a 100 milioni di persone potrebbero cadere in povertà, supponendo che la distribuzione del reddito non cambi.  Anche la fame aumenterà, con il numero di persone che affrontano un’insicurezza alimentare acuta che raddoppierà a circa 265 milioni entro la fine del 2020. Nei Paesi più poveri, sono a rischio i progressi conquistati nella salute e nell’istruzione negli ultimi dieci anni. Secondo la Banca mondiale, che quantifica l’Indice del capitale umano come il potenziale di ciascun individuo costituito dalla conoscenza, capacità e dalla salute che potrebbe accumulare nel corso della vita, già prima degli effetti della pandemia un bambino nato in un Paese a basso e medio reddito poteva aspettarsi di raggiungere solo il 56% del proprio potenziale di capitale umano . Ora che il quadro è peggiorato, le proiezioni suggeriscono che la chiusura delle scuole, combinata con le difficoltà familiari, influenzeranno in modo significativo l’accumulo di capitale umano. Parallelamente, si prevede che l’interruzione dei servizi sanitari, le perdite di reddito e il peggioramento dei livelli di nutrizione aumenteranno la mortalità infantile e l’arresto della crescita, con effetti che si faranno sentire nei decenni a venire.

Le differenze con il passato

Diverse analisi delle passate pandemie sono giunte alla conclusione che tali eventi avessero contribuito nel tempo a ridurre le disuguaglianze economiche. Come ha ricordato Enrico Bucci sul Foglio del 23 settembre, questa è la tesi enunciata dallo storico austriaco Walter Scheidel nel suo libro “The great leveler: violence and the history of inequality from the stone age to the twenty-first century” (Il Mulino, 1989). In sintesi, il meccanismo principale fu individuato nella scarsità di lavoratori determinato dal gran numero di morti causato da eventi naturali come pesti e catastrofi, perdite che avevano generato l’innalzamento dei salari. Vi sono però varie indicazioni che l’esito del Covid-19 questa volta potrà essere quello opposto. Il Covid non conosce confini geografici né barriere sociali, ma è anche vero che, come dimostrato da alcuni studi, le svantaggiate condizioni economiche sono uno specifico fattore di rischio. Per queste ragioni, almeno sul breve periodo la pandemia si rivelerà un fattore di incremento delle disuguaglianze. “Sebbene resti vero quanto Scheidel afferma, cioè che grandi catastrofi possano segnare un momento di ridistribuzione di ricchezza ed essere seguite da un’età più florida, questo è in realtà un bilancio che si può trarre nel lungo periodo: nell’immediato, il virus e la battaglia contro di esso stanno creando maggior divario”, conclude Bucci.

La crisi del lavoro

In Italia aumentano i divari per fasce di età, sesso, area geografica e tipo di attività. Come rilevato dai dati Istat diffusi l’11 settembre, se il tasso di occupazione diminuisce della stessa entità nel Nord e nel Mezzogiorno (-2,0 punti in entrambi i casi) e poco meno nel Centro (-1,7 punti), il calo del tasso di disoccupazione è maggiore nel Mezzogiorno (-3,2 punti) e nel Centro (-3,0 punti) in confronto al Nord (-0,8 punti) e si associa all’aumento più intenso del tasso di inattività nelle regioni meridionali e centrali rispetto al Nord. Aumentano anche le differenze di genere: tra donne è maggiore il calo del tasso di occupazione (-2,2 punti rispetto a -1,6 punti gli uomini) in concomitanza al maggiore aumento del tasso di inattività (+3,9 e +3,2 punti). Diversi studi hanno certificato l’incremento delle disuguaglianze sul mercato del lavoro a livello globale. In particolare per i lavoratori poveri, che dipendono da una retribuzione giornaliera e da un impiego occasionale, l’impossibilità di recarsi sul posto di lavoro ha comportato perdite di guadagno, senza protezioni sociali e con alti livelli di insicurezza. Per i Paesi a basso e medio reddito, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ha stimato nel secondo trimestre del 2020 un calo del 23,3% delle ore lavorate, equivalente a 240 milioni di posti di lavoro. Anche i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo hanno visto il loro reddito calare in media di oltre il 15%. La sesta edizione della nota dell’Oil esamina anche l’efficacia dello stimolo fiscale nell’alleviare gli impatti sul mercato del lavoro. Nei Paesi in cui sono disponibili dati sufficienti per il secondo trimestre del 2020, esiste una chiara correlazione che mostra che maggiore è lo stimolo fiscale (come percentuale del Pil), minore è la perdita di ore lavorative. In quel periodo, a livello globale, uno stimolo fiscale aggiuntivo dell’1% del Pil annuo avrebbe ridotto le perdite di ore lavorative di un ulteriore 0,8%. Tuttavia, osserva l’Organizzazione, sebbene i pacchetti di stimolo fiscale abbiano svolto un ruolo significativo nel sostenere l’attività economica e ridurre il calo dell’orario di lavoro, si sono concentrati nei Paesi ad alto reddito, poiché le economie emergenti e in via di sviluppo hanno una capacità limitata di finanziare tali misure. “Proprio come abbiamo bisogno di raddoppiare i nostri sforzi per sconfiggere il virus, così dobbiamo agire con urgenza e su larga scala per superare i suoi impatti economici, sociali e occupazionali. Ciò include il sostegno al lavoro, alle imprese e ai redditi”, ha affermato il direttore generale dell’Oil, Guy Ryde. Ma la pandemia ha esacerbato anche le lacune nell’accesso alla tecnologia e a internet. Milioni di lavoratori e studenti sono stati costretti a lavorare e studiare a distanza a causa dei blocchi e delle regole di distanziamento. E c’è una significativa disparità tra i Paesi e all’interno degli stessi. Ad esempio, in India circa il 50% delle persone, ovvero più di 600 milioni di individui, non ha accesso a internet e in molti Paesi africani questa percentuale è più alta. Negli Stati Uniti, diversi studi hanno mostrato significative differenze in termini di reddito, età, razza e aree urbane o rurali.

La distribuzione della ricchezza

Un altro elemento venuto alla luce in questi mesi riguarda la possibilità che i segmenti più ricchi della popolazione traggano particolari vantaggi da favorevoli dinamiche di mercato. Il riferimento è al possibile rafforzamento di posizioni dominanti già esistenti nel mercato, come dimostrano i dati dell’Institute for policy studies riportati dal Corriere della Sera del 19 settembre. Si scopre come dal 18 marzo i super ricchi negli Stati Uniti siano diventati ancora più ricchi. Il virus ha rimpolpato il patrimonio dei 643 miliardari Usa, che è cresciuto di 845 miliardi di dollari, passando da 2.950 miliardi a 3.800, cioè quasi 5 miliardi di dollari in più al giorno. Questo è quanto accaduto al patrimonio di Jeff Bezos, capo di Amazon, passato dal possedere 73 miliardi di patrimonio ad averne 186. Aumenti significativi si sono avuti sui patrimoni di Elon Musk e Mark Zuckerberg. In sintesi, se la pandemia – in modo simile a quello di altre crisi – rischia di danneggiare molte piccole imprese, per un altro verso sta portando all’aumento delle distanze tra i ricchi e il resto della società. Le ragioni alla base di questa tendenza possono essere varie e attengono ai diversi meccanismi che regolano la formazione e la distribuzione della ricchezza.  Secondo Oxfam International, che ha recentemente pubblicato un paper dal titolo “Potere, profitti e pandemia”, una di queste ragioni risiede in un modello economico che ha spinto le grandi aziende a concentrarsi sui profitti a breve termine: massima efficienza, precedenza ai guadagni degli azionisti rispetto a quelli dei lavoratori, scarse protezioni di sicurezza. “È sconcertante come nel bel mezzo di questa gravissima crisi sanitaria alcune imprese destinino i loro utili quasi esclusivamente alla distribuzione dei dividendi agli azionisti o ad operazioni di buyback azionari, a discapito di investimenti produttivi e del miglioramento delle condizioni retributive dei dipendenti”, dichiara a Futura Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne e Programmi in Italia di Oxfam. “Questo ha l’inevitabile risultato di ampliare le disuguaglianze retributive e patrimoniali in un momento in cui è necessaria maggiore equità per risollevarci da una crisi economica così grave”. In vista delle risorse previste dal fondo Next Generation Eu, Bacciotti auspica “una ripartenza che contribuisca a ridurre l’abnorme disuguaglianza di ricchezza di reddito insieme ad altri tipi di disuguaglianza. Con l’adozione dell’Agenda 2030, la comunità internazionale si è assunta una forte responsabilità nel lottare contro la disuguaglianza patrimoniale e reddituale. Tale lotta non è isolata dall’impegno su altre sfide globali: la lotta contro il cambiamento climatico o la promozione di una vera eguaglianza di genere. I dati raccolti negli ultimi 30 anni ci dimostrano che tali sfide sono interrelate e che l’umanità non ha molta scelta, se non ripartire con un forte cambio di rotta. È in gioco il nostro futuro come comunità umana, non solo economica”.

Le differenze di genere

Un ulteriore elemento riguarda gli effetti di aggravamento causati dal Covid-19 sulla disuguaglianza di genere. Se gli uomini hanno spesso tassi di mortalità e di ricoveri più elevati rispetto alle donne, gli impatti sociali ed economici della pandemia sono stati particolarmente gravi per le donne e le ragazze. Si stima che nel 2021, per gli effetti del Covid, circa 47 milioni di donne in più nel mondo vivranno in povertà (Un Women). Le donne sono sovra-rappresentate nei lavori informali e in settori duramente colpiti come il turismo. Nelle famiglie povere, ma non solo in quelle, le donne e le ragazze sopportano il peso maggiore di carichi di lavoro aggiuntivi. Anche prima del Coronavirus, numerose analisi avevano evidenziato come i progressi verso la parità di genere fossero stati irregolari e rimanessero ampi divari di genere in tutto il mondo. Ora, senza interventi adeguati, il rischio che quei progressi siano vanificati è forte.

Ad esempio, secondo una stima del Mc Kinsey Global Institute, i lavori delle donne sono 1,8 volte più vulnerabili a questa crisi rispetto ai lavori degli uomini. D’altronde le donne rappresentano il 39% dell’occupazione globale, ma costituiscono il 54% della perdita complessiva di posti di lavoro. Nello scenario migliore elaborato da Mc Kinsey – che prevede decisioni volte a migliorare significativamente l’uguaglianza di genere – il valore globale di queste misure inciderebbe entro il 2030 per ben 13 mila miliardi di dollari di Prodotto interno lordo globale, aumento dell’11% rispetto allo scenario peggiore. Analisi, è bene ricordarlo, che escludono anche altri potenziali effetti della pandemia sulla disuguaglianza di genere, per esempio la violenza contro le donne e la riduzione degli investimenti nell’istruzione delle ragazze.

 

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