LO SMART WORKING PUÒ ESSERE EFFETTUATO IN PARTE ANCHE NELLA SEDE DI LAVORO

Il lavoro agile può essere svolto in parte anche nella sede di lavoro. È lo stesso articolo 18, comma 1, della legge 81/2017 a chiarirlo, nel passaggio nel quale si stabilisce: “La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa”.

Tale previsione non è posta solo a consentire la logica alternanza tra attività in smart working ed in sede per periodi a rotazione (giorni alterni, giorni fissi, settimane o periodi plurisettimanali), ma indica molto chiaramente che il lavoratore nel “turno” in smart working può certamente effettuare parte della propria attività anche all’interno della sede aziendale, se questo risulti utile e necessario all’espletamento dei propri compiti.

Occorre considerare che nella fase attuale, al 31.10.2020, non si è nel lock down totale della primavera 2020, nell’ambito del quale il lavoro agile fu regolato da disposizioni d’emergenza, volte soprattutto ad utilizzare questo sistema come strumento per limitare al massimo la circolazione delle persone e quindi del virus. Si è trattato di un home working, più che di uno smart working.

Il legislatore della scorsa primavera era consapevole che il lavoro agile fu disposto all’improvviso, senza la necessaria preparazione tecnologica e organizzativa. Non a caso, accompagnò lo smart working con la sospensione di una lunga serie di procedimenti amministrativi.

Adesso, il lavoro agile, pur continuando ad assumere una funzione importante di contrasto alla diffusione della pandemia, ai sensi dell’articolo 263 del d.l. 34/2020, convertito in legge 77/2020, deve essere organizzato solo se, non solo non pregiudichi l’efficienza dei servizi, ma sia preordinato anche ad aumentarla. Non è ammissibile lo smart working, insomma, se i risultati dell’azione amministrativa ne possano essere pregiudicati.

La compatibilità dello smart working con le attività concrete svolte dalle pubbliche amministrazioni non va verificata solo alla luce delle strumentazioni tecnologiche, ma anche e soprattutto in relazione alle garanzie di efficienza dei servizi e della verificabilità dei risultati.

È evidente che la nuova ondata della pandemia impone alle amministrazioni di affrontare responsabilmente l’organizzazione degli uffici, anche andando oltre la soglia minima del 50% dei dipendenti che possono essere disposti in lavoro agile, indicata dal DM 19 ottobre 2020 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e allegato) e dal DPCM 25.10.2020.

Allo scopo di conciliare la necessità di non abbassare i livelli di efficienza di servizi, è fondamentale la mappatura delle attività, definita dal DM di Palazzo Vidoni “ricognizione, svolta da parte delle amministrazioni in maniera strutturata e soggetta ad aggiornamento periodico, dei processi di lavoro che, in base alla dimensione organizzativa e funzionale, possono essere svolti con modalità agile”.

Tale mappatura, però, non deve fermarsi solo alle mansioni da svolgere e alla disponibilità degli strumenti tecnologici (in particolare, reti virtuali, desktop virtuali, applicativi informatici e banche dati digitali, oltre che l’hardware necessario).

Occorre avere presente che il lavoro agile non coincide con il lavoro da casa, attivato in modo affrettato e urgente a marzo. Il lavoro agile è da intendere come lavoro “ovunque”, privo di una strutturazione fissa di sedi di lavoro e di segmenti rigidi di orario.

Certo, la disponibilità di connessioni sicure, piattaforme informatiche, firma digitale, laptop e smartphone è utilissima e per certi versi indispensabile. Ma, potrebbe rivelarsi non sufficiente, ad esempio nel caso – abbastanza diffuso – di presenza di banche dati miste: digitali e anche cartacee.

Le associazioni imprenditoriali dell’edilizia e gli ordini professionali in questi mesi hanno rilevato l’inefficienza dello smart working negli uffici comunali competenti all’edilizia e all’urbanistica, addebitando al lavoro agile la riduzione dei permessi e dei titoli per costruire e segnalando comunque ritardi e difficoltà nei contatti. Tra le accuse, proprio l’inadeguatezza di un sistema di lavoro teoricamente tutto on line, mentre moltissimi dati connessi alla gestione del territorio risiedono in carte e documenti cartacei, non raggiungibili da remoto.

Il DM 19.10.2020 affida ai dirigenti il compito di organizzare il lavoro agile e l’articolo 263 del d.l. 34/2020, convertito in legge 77/2020 ricorda che questa organizzazione non deve ridurre, ma semmai aumentare, l’efficienza della PA a beneficio di cittadini ed imprese.

Occorre, allora, che la mappatura consideri non solo, come rilevato sopra, i mezzi digitali, ma anche quelli “analogici”. Laddove un certo servizio si presti, grazie a dotazioni informatiche ottimali, al lavoro da remoto, ma sia necessario consultare anche archivi cartacei per chiudere le pratiche nei tempi, allora devono ammettersi le modalità operative flessibili proprie dello smart working. Superando pregiudizi mentali, il dirigente deve ammettere che il lavoratore in smart working possa espletare le proprie attività anche, in parte, accedendo alla sede, laddove questo occorra per consultare carte e documenti e quanto altro serva per gestire il proprio lavoro, e magari poi proseguire l’attività in altra sede.

La mappatura, quindi, può portare ad evidenziare che tra i “non luoghi” del lavoro agile, vi sia anche la sede ordinaria, da utilizzare per non produrre ritardi e inefficienze.

Ovviamente, gli accessi alla sede vanno comunque regolamentati. Li si può permettere in orari non di punta e previa una comunicazione del lavoratore agile, volta ad ottenere dalla sede di lavoro la conferma che l’accesso ai locali in una certa fascia oraria della mattinata non pregiudichi misure di sicurezza, come la “densità” delle persone all’interno degli uffici; per altro verso, se il lavoratore agile che acceda alla sede non deve ovviamente registrare la presenza ai fini dell’orario (ma, invece, deve farlo per esempio ad altri fini, come l’antincendio), ovviamente deve comunque attenersi ai protocolli di sicurezza previsti per chi è in sede.

Ma, altro elemento della mappatura deve consistere nella valutazione della sussistenza di un sistema semplice e concreto di attribuzione ai dipendenti collocati in lavoro agile di compiti da svolgere, misurabili sul piano qualitativo e, se si prestano anche a questo, sul piano qualitativo.

Il dirigente deve assegnare dei “task”: lavorazioni e scadenze, chiedendo il tracciamento delle istruttorie (cosa per altro imposta da anni dall’articolo 9, comma 2, del dPR 62/2013) e dei loro esiti, negoziando i termini per procedere o determinandoli sulla base di standard, laddove vi sia a monte una capacità di analisi delle “metriche del lavoro” necessarie.

Con la consapevolezza che la massima flessibilizzazione organizzativa non esclude l’accesso alla sede (da effettuare, evidentemente, però in orari non a rischio affollamento) ed impone l’assegnazione di compiti precisi, su base periodica (settimanale, almeno), la mappatura assume una funzione non semplicemente di ricognizione dell’esistenza di strumenti, ma della capacità effettiva di lavorare senza vincoli logistici particolari, garantendo però risultati misurabili.

In assenza di ciò, anche la presenza di dotazioni informatiche potrebbe non permettere l’erogazione dei servizi con l’efficienza richiesta dall’articolo 263 del d.l. 34/2020. da luigioliveri.blogspot.com

Misure per il lavoro agile nella pubblica amministrazione nel periodo emergenziale, Decreto 19.10.2020, In Gazzetta Ufficiale

Precedente

Oggi i Sindaci hanno detto…

Successivo

MISURE PER L’EMERGENZA COVID-19. IL TESTO DELLE COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE GIUSEPPE CONTE AL SENATO DELLA REPUBBLICA