RILEVANZA PENALE DEL MOBBING: SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE FA LA SINTESI

In riferimento alla rilevanza penale delle condotte di mobbing la Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza n. 31723 depositata il 9 novembre 2020, ha affermato come le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione, possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.),  qualora il rapporto tra datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre una posizione di supremazia (Cassazione,  14754/2018).

Sempre valorizzando il piano della relazione verticale fra le parti si  è precisato come,  in tema di esercizio del potere di correzione disciplina ambito lavorativo configura il reato previsto articolo 571 codice penale (abuso dei mezzi di correzione) la condotta del datore di lavoro che superi i limiti fisiologici dell’esercizio di tale potere (nella specie rimproveri abituali al dipendente con l’uso di epiteti ingiuriosi o con frasi minacciose), mentre integra il delitto di cui all’art 572 codice penale la condotta datore lavoro che ponga in essere nei confronti del dipendente comportamenti del tutto avulsi dall’esercizio del potere di correzione e disciplina, funzionale ad assicurare l’efficacia e la qualità lavorativa, e tali da incidere sulla libertà personale dipendente, determinando nello stesso una situazione di disagio psichico (Cassazione, 51591/2016).

Siffatta visione tutta incentrata sulla tutela dell’integrità psicofisica della vittima insiste nondimeno sulla connotazione del fenomeno del mobbing in termini di mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare o isolare indipendente nell’ambiente di lavoro; e non esclude, anzi conferma, la riconducibilità dei fatti vessatori alla norma incriminatrice di cui all’art. 612 bis Codice Penale (atti persecutori – stalking), ove ricorrano gli elementi costitutivi di siffatta fattispecie, ed in particolare la causazione di uno degli eventi ivi declinati.

Ed invero il delitto di atti persecutori che ha natura di reato abituale di danno è integrato dalla necessaria reiterazione. Ti ha scritto la norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta la determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso. Sicché ciò che rileva è la identificabilità di questi quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Cassazione 7899/2019) e che condividono il medesimo nucleo essenziale rappresentato lo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie (Cassazione 11931/2020).

Ne consegue quindi che nessuna obiezione sussiste in astratto alla riconduzione le condotte di mobbing nell’alveo precettivo di quell’ articolo 612 bis codice penale, laddove quella mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima è preordinata a mortificare e isolare il dipendente  nell’ambiente di lavoro, elaborata  dalla giurisprudenza civile come essenza del fenomeno, sia idonea a cagionare uno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice.

da iusmanagement.org – autore Dario Di Maria

Corte Suprema di Cassazione, Sentenza n. 31273_11_2020

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