In questi mesi, l’emergenza coronavirus ha messo sotto pressione sia la capacità di risposta dei singoli paesi europei, sia quella dell’Unione europea nel suo complesso.
In molti aspetti, l’emergenza richiede risposte coordinate in sede Ue.
Prima di tutto in campo sanitario, con la necessità di garantire l’accesso ai dispositivi di protezione, il potenziamento delle terapie intensive, gli investimenti nella ricerca sul vaccino e nella sua distribuzione.
Poi per gli aspetti economici e sociali connessi con la crisi: con gli effetti del lockdown su consumi e produzione e la necessità di supportare le imprese con sovvenzioni e garanzie sui prestiti.
Allo stesso tempo, la pandemia rappresenta una sfida anche per l’assetto istituzionale dell’Europa. Per le sue caratteristiche intrinseche di “epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti” richiede risposte coordinate tra i paesi Ue, ma soprattutto rapide ed efficaci.
Nonostante qualche incertezza iniziale, la gravità della situazione già durante la prima ondata lo ha reso subito evidente.
Prima degli stanziamenti aggiuntivi, come il recovery fund, uno dei primi strumenti messi in campo dall’Ue è stata la possibilità per gli stati di reindirizzare i propri fondi europei nel contrasto all’emergenza. Vediamo come questo processo è avvenuto, in Italia e negli altri paesi, con l’indagine, l’elaborazione di dati e l’approfondimento di Openpolis fatti in collaborazione con European Data Journalism Network: https://www.openpolis.it/limpatto-dei-fondi-ue-nella-gestione-dellemergenza-covid/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_term=MailUp&utm_content=MailUp&utm_campaign=Newsletter. da openpolis.it