FESTIVAL DELLE CITTÀ, lo sport come nuova linfa per la crescita culturale del Paese

Non poteva mancare il tema dello sport, nella seconda edizione del Festival delle Città, kermesse “a tutto tondo”, organizzata da ALI – Autonomie Locali Italiane.
In cattedra Giovanni Malagò, presidente del CONI; Damiano Coletta, responsabile sport ALI; Svetlana Celli, presidente dell’assemblea capitolina; Mauro Berruto, deputato del PD e Fabio Caressa, giornalista SKY.

Il primo intervento spetta a Coletta, lucido nell’inquadrare e nel presentare al pubblico il quadro nient’affatto roseo in cui viene relegata l’attività sportiva in Italia: «Siamo un Paese che ha cresciuto e conosciuto molti campioni, ma dobbiamo ricordarci che lo sport parte dal dilettantismo. Viviamo una crisi che ci riguarda tutti da vicino e il tema dello sport, che spesso viene relegato in secondo o terzo piano, deve essere considerata nuovamente come fondamentale per la crescita e il miglioramento del Paese. In questi periodi difficili, chi può farcela e chi no? Ecco, allora, come lo sport rischia di diventare appannaggio di chi può permetterselo e questo è fortemente ingiusto. Lo sport è prevenzione, anche sociale, e riguarda tutti, da chi lo pratica ai lavoratori stessi.
Siamo il primo Paese in Europa per tasso di obesità infantile e questo incide non solo sulla salute, ma anche sull’impatto del cittadino sulla struttura sociale della nostra comunità, nonché sui costi e le cure stesse. Occorre una spinta in più, un aiuto solido agli enti locali per combattere la staticità, in tutti i sensi. Ripristiniamo l’impiantistica aperte in strada: lo sport deve essere accessibile a tutti, non solo a chi frequenta centri adibiti».

In collegamento da Napoli, Caressa non usa mezzi giri di parole e punta da subito l’attenzione sulla valenza del metodo scolastico e la mancanza di supporto in essa da parte del nostro sistema: «La qualità del sistema sport dipende dalla qualità del livello culturale di una comunità. Parliamo di un settore da sempre considerato secondario, quando invece riguarda il 90% delle famiglie italiane. È fondamentale modificare il rapporto che lega lo sport alle istituzioni scolastiche e alla loro ricezione: la scuola deve accogliere lo sport, non si può relegare solo ad ambienti esterni e distaccati, come le palestre, i centri o le scuole calcio. Che a scuola si insegnino i valori dello sport, le storie sportive, che contengono insegnamenti difficili da descrivere in modo astratto. Questa è una base di partenza per migliorare il Paese anche culturalmente».

Malagò è uomo di sport e figura chiave della politica sportiva italiana. Le sue dichiarazioni descrivono alla perfezione la situazione instabile sia a livello amministrativo, che culturale in Italia: «In questo momento, lo sport non avrà certo la priorità, ma è un aspetto prioritario per il nostro Paese. Siamo un popolo di sportivi e lo testimonia il gran numero di società, associazioni e affiliazioni sportive, professioniste e non. Rappresentiamo un mondo molto fidelizzato. Il comparto sportivo produce una cifra che si aggira tra l’1,5% e l’1,8% del PIL nazionale. Eppure, a scuola da noi in Italia, lo sport si pratica molto poco e molto male; se altrove sono le scuole a scoprire e coltivare i talenti sportivi, da noi tocca solo alle associazioni sportive dilettantistiche e agli occhi altrui questa è una vera anomalia. Il margine per una maggiore integrazione tra organi, comitati ed enti locali è consistente e ciò aumenterebbe l’opportunità per accrescere un gran numero di posti di lavoro».

Un discorso ripreso a gran voce da Celli: «Rispetto a ciò che sta accadendo in Europa, lo sport avrà un modo totalmente differente di relazionarsi e riorganizzarsi. Bisogna riportare lo sport all’apice della gerarchia sociale, perché in esso converge il nostro sistema sociale, dalla forza delle amministrazioni, al rapporto con la scuola e la sanità; si tratta di un investimento non solo teorico sul quale basare la crescita dell’individuo inserito in una comunità efficiente.
Per riuscire in questo intervento rivoluzionario, bisogna lavorare affinchè la burocrazia non sia invasiva e non infici i valori dello sport, così come non si può permettere alla rigidità normativa di ostacolare la ricezione dello stesso nel tessuto sociale al quale tutti apparteniamo» e, in chiusura, anche da Berruto, a invocare un radicale cambio di registro: «Quelli della mia generazione sono cresciuti con un modello sportivo che non esiste più. Oggi la situazione è molto delicata. Occorre, dunque, lavorare a un nuovo paradigma. Che venga reintrodotta la parola “sport” nella nostra carta costituzionale. Lo sport deve assicurarsi un diritto costituzionalmente tutelato.
Lo sport è cultura del movimento, un investimento utile al risparmio al nostro sistema nazionale. Valorizziamo i centri sportivi con il paesaggio urbano; affidiamoli alle associazioni sportive, affinché siano in grado id farli rivivere».

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