DUE CRISI, DUE WELFARE

Gli anni Duemila hanno già visto due crisi: la prima è quella finanziaria del 2008-2009, la seconda è quella sanitaria di oggi. Per sostenere il reddito dei lavoratori si è però fatto ricorso a misure diverse. Con riflessi nei dati sulla disoccupazione

Le risposte alla crisi del 2008-2009 Gli anni Duemila hanno visto, a distanza di poco più di dieci anni, il succedersi di due grandi crisi economiche. La prima è la crisi finanziaria 2008-2009, di lunga durata, interna al modello di produzione; la seconda è sanitaria, del 2020, dovuta a fattori esterni e con effetti immediati. Il nostro paese ha reagito in entrambe le occasioni con politiche di aumento della spesa pubblica, anche per garantire sostegno al reddito dei lavoratori. Nella crisi finanziaria, le azioni di sostegno al reddito e all’occupazione dei lavoratori furono rappresentate unicamente dal ricorso massiccio alla cassa integrazione guadagni. È una politica ideata alla metà degli anni Quaranta per rispondere alla crisi bellica. Ed è una misura capace di frenare gli effetti della mancanza di reddito per lavoratori in un mercato del lavoro standard, ideale per una organizzazione produttiva classicamente fordista. Nel 2008-2009 il mercato del lavoro non era, però, quello della originaria formulazione della cassa, il lavoro era frammentato e molto concentrato nel settore terziario. La cassa integrazione ordinaria e straordinaria si dimostrò, così, insufficiente e si dovette ricorrere a un massiccio uso della cassa in deroga, strumento eccezionale, basato sulla fiscalità generale

I provvedimenti nella crisi del 2020 Nella crisi sanitaria di oggi, il quadro degli interventi è più articolato. Accanto alle misure di cassa integrazione sono stati introdotti interventi universalistici, sia contingenti alla crisi sia strutturali (indennità, bonus, fondo di ultima istanza, reddito di emergenza, reddito di cittadinanza) e azioni, sostanzialmente molto residuali, collegate al concetto della flexsecurity (Naspi/Dis-coll) (grafico 2).

Gli effetti sulla disoccupazione La diversa strutturazione delle tipologie di sostegno reddituale attuate può aver differenziato anche l’espressione della crisi? Se osserviamo l’evoluzione dei tassi di disoccupazione nei due periodi, sembrerebbe di sì (grafico 3).

Appare evidente come il dato opposto degli esiti sui livelli di disoccupazione è determinato principalmente dalla differente dinamica del numero degli inattivi (grafico 4).

L’aumento degli inattivi nel 2020 può essere immediatamente interpretato come conseguenza del forzato distanziamento fisico. Inoltre, il calo della disoccupazione può avere come causa anche il massiccio utilizzo della cassa integrazione, che mantiene occupati i lavoratori beneficiari. Ma le due dinamiche spiegano solo in parte il fenomeno. La disponibilità al lavoro (Did) e la ricerca di un’occupazione si possono esprimere pure on-line, mentre il massiccio utilizzo della cassa fu presente anche nella crisi finanziaria.

Allora, forse, la causa della consistente diminuzione della disoccupazione nella crisi sanitaria, con l’aumento degli inattivi, appare riferibile al diverso sistema di protezione sociale. Nel 2020, per milioni di lavoratori autonomi e a termine sono previsti interventi di allocazione pubblica generalizzata di reddito che non c’erano nel 2008-2009 e che possono aver limitato l’esigenza di ricercare un immediato reddito sostitutivo nei settori occupazionali attivi. Tali misure non limitano la caduta occupazionale: la diminuzione congiunturale dell’occupazione — 497 mila unità in meno rispetto ad aprile 2019 — è infatti riferibile unicamente ai lavoratori contingenti (-480 mila) e autonomi (-192 mila), mentre per i permanenti, destinatari della cassa, si registra un + 175 mila). Hanno però garantito strumenti più immediati di regime reddituale sostitutivo rispetto alla cassa integrazione.

L’analisi dei welfare emergenziali nelle due crisi ci porta, così, a un’ultima considerazione: la necessità di riorganizzare e semplificare il sistema degli ammortizzatori sociali. Lo si può fare attraverso l’armonizzazione e la razionalizzazione degli strumenti di protezione in costanza di rapporto di lavoro con quelli trasversali e universalistici. Tenendo in considerazione che, allora come oggi, le forme contrattuali contingenti appaiono più vulnerabili agli shock economici generalizzati.

da lavoce.info, di Massimo De Minicis, ricercatore INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche)

Precedente

DALLA CONFERENZA STATO-CITTÀ 300 MLN PER I COMUNI

Successivo

Oggi i Sindaci hanno detto…