PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, LAVORO AGILE FINO A DICEMBRE AL 50% NELLE ATTIVITÀ POSSIBILI

La procedura semplificata per lo Smart Working nella Pa sarà aperta fino al 31 dicembre, con una soluzione ponte verso il «lavoro agile» strutturale a partire dal prossimo anno. Nel frattempo gli uffici pubblici dovranno introdurre orari flessibili, introdurre «soluzioni digitali» per «l’interlocuzione con l’utenza» e, appunto, applicare lo Smart Working con l’iter semplificato, cioè senza il bisogno di accordi individuali e senza gli obblighi informativi previsti dalle regole ordinarie, almeno al 50% del personale impiegato in attività che non impongano la presenza fisica. Ma fino al 15 settembre resterà in vigore anche la regola, introdotta dal decreto 18 all’ inizio dell’emergenza, che limita la presenza in ufficio al personale impiegato nelle attività giudicate «indifferibili».

La proroga dello Smart Working nella pubblica amministrazione (anticipata sul Sole 24 Ore del 23 giugno) arriva in extremis sotto forma di emendamento approvato in commissione Bilancio alla Camera al decreto 34. Nel testo, firmato da Vittoria Baldino (M5S) e preparato con gli uffici della Funzione pubblica guidata da Fabiana Dadone, si prova a sposare il rilancio del lavoro agile nella Pa con «le esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali», a cui gli uffici pubblici sono chiamati dalla nuova norma ad «adeguarsi» come già chiedeva l’ultima circolare di Palazzo Vidoni sul tema.

L’ equilibrio è delicato, come dimostra l’esperienza quotidiana nelle tante amministrazioni che zoppicano sul piano amministrativo e su quello tecnologico. Ma per il governo la strada è segnata, e il decollo del lavoro agile imposto d’ urgenza dalla crisi sanitaria deve ora trasformare in modo strutturale l’organizzazione della Pa. A questo obiettivo risponde la seconda parte dell’emendamento, che indica le regole a regime. Regole che ruotano intorno a un nuovo acronimo nel già ricco dizionario pubblico, il «Pola», cioè il Piano per l’organizzazione del lavoro agile che ogni amministrazione dovrà scrivere entro il 31 dicembre di ciascun anno sentiti i sindacati.

Nel Pola andranno individuate le attività che possono essere svolte in modalità agile, e bisognerà prevedere che almeno il 60% dei dipendenti impiegati in questi settori possa utilizzare lo Smart Working senza penalizzazioni professionali o di carriera, con un obiettivo ancora più ambizioso di quello scritto nelle bozze del Pnr. Sempre il Pola dovrà definire la formazione del personale, i requisiti tecnologici delle dotazioni di lavoro e soprattutto «gli strumenti di rilevazione e verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di qualità dei servizi erogati». Una formula classica di tante norme sul pubblico impiego: che però fin qui sono rimaste di solito inattuate. da “Il Sole 24 Ore”, di Gianni Trovati

Lo smart working non è per tutti

Il Tribunale di Mantova: la modalità agile deve essere compatibile con la prestazione

Non si può lavorare da casa se le mansioni richiedono la presenza fisica sul luogo di lavoro anche nel periodo dell’emergenza e e in vigenza del diritto allo smart working introdotto dal decreto Rilancio per i genitori di figli minori di 14 anni. Lo ha stabilito il tribunale di Mantova (decreto 1054/2020), rigettando il ricorso contro il proprio datore di lavoro di un dipendente di una multinazionale dei parcheggi, difesa dallo studio Fatigato di Foggia, che aveva chiesto e non ottenuto lo smart working chiesto ai sensi dell’art. 90 del dl n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio). Il tribunale afferma che, condizione necessaria per l’esercizio del diritto allo smart working è la compatibilità con le caratteristiche della prestazione che è richiesta al lavoratore.

Si ricorda che il diritto al lavoro agile è stato individuato quale «modalità ordinaria» di svolgimento della prestazione di lavoro nelle pubbliche amministrazioni durante il periodo d’emergenza mentre nel settore privato, invece, il diritto vige soltanto per i lavoratori disabili gravi e per quelli che hanno in famiglia persone disabili gravi; i lavoratori affetti da gravi patologie e ridotta capacità lavorativa, infine, hanno priorità nell’accoglimento delle richieste di smart working. Il Decreto Rilancio ha poi stabilito ( art. 90) che, fino alla cessazione dello stato d’emergenza, i genitori lavoratori dipendenti con figli minori di 14 anni, a condizione che in famiglia non vi sia altro genitore non lavoratore o beneficiario di strumenti di sostegno al reddito per sospensione o cessazione attività, «hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile» anche in assenza degli accordi individuali e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

La vicenda posta all’attenzione del Tribunale di Mantova riguarda un lavoratore che, proprio ai sensi dell’art. 90, ha chiesto ma non ottenuto di svolgere l’attività lavorativa in modalità di lavoro agile. La richiesta si basava sulla necessità di accudire la figlia minore di 14 anni e sull’esigenza di evitare pregiudizi per la propria salute. Il datore di lavoro ha rifiutato la richiesta sulla base del fatto che le mansioni svolte dal lavoratore non si possono conciliare con la modalità lavorativa da remoto, poiché è necessaria la presenza personale. Il tribunale dà ragione all’azienda. Afferma, prima di tutto, che il «diritto» introdotto dal dl Rilancio non è assoluto, ma condizionato alla compatibilità della modalità di lavoro agile con le caratteristiche delle prestazioni svolte dal lavoratore. Il tribunale non accredita neppure la necessità di accudire la figlia: afferma, infatti, che, sebbene la norma appare attagliarsi al caso, nello specifico risulta invece che la moglie presta lavoro in modalità agile dal proprio domicilio (la moglie è dipendente pubblico). Infine, il tribunale non prende in considerazione l’altra ragione invocata dal lavoratore, ossia il pregiudizio per la sua salute, semplicemente perché è un pericolo solo genericamente accennato.

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