“IL CLIMA È GIÀ CAMBIATO”: RAPPORTO DI LEGAMBIENTE. IN 10 ANNI ITALIA SEMPRE PIÙ COLPITA DAGLI EVENTI CLIMATICI ESTREMI, CON INONDAZIONI, FRANE E SICCITÀ

Il nostro Paese è e sarà sempre più interessato da fenomeni climatici estremi. Il Mediterraneo, infatti, è una delle aree più sensibili al climate change e ne subisce tutte le conseguenze. Per via dell’aumento della temperatura e della diminuzione delle precipitazioni, gli scienziati considerano l’area un vero e proprio “hot spot”. Questo potrebbe provocare conseguenze imprevedibili nel rapporto tra temperatura dei mari, venti, precipitazioni e fulmini. In questo quadro, le città italiane sono sempre più a rischio.

Secondo il rapporto “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, presentato il 25 novembre, in Italia si assiste al susseguirsi di record che non possono lasciare indifferenti. Ad esempio, se si considerano solo le temperature massime, il mese di ottobre 2019 è risultato essere il secondo più caldo in assoluto dal 1800 ad oggi, dietro solo al 2001, con un’anomalia di +1,74°C. Nella primavera scorsa, a Palermo, per la prima volta in 200 anni, sono stati registrati 39 gradi a maggio. In precedenza, durante l’inverno, quasi l’intero territorio nazionale era stato colpito dalla siccità: tra gennaio e marzo il fiume Po e i laghi del Nord avevano toccato i livelli minimi dell’estate, con -75% di precipitazioni rispetto al 2019. Non migliore la situazione al Sud, con Puglia e Basilicata, a febbraio, che segnalavano invasi a secco e circa 150 milioni di metri cubi di acqua in meno rispetto al 2019. A livello nazionale, è mancato all’appello il 60% delle precipitazioni.

Negli ultimi 10 anni l’Italia ha visto crescere i danni dovuti a eventi meteorologici causati dal cambiamento climatico. In un decennio si sono verificati 946 eventi calamitosi in 507 Comuni diversi. Hanno subito danni per le alluvioni (i fenomeni che più spesso si verificano in Italia) 416 Comuni, 319 dei quali erano città. Le precipitazioni estreme hanno determinato 347 interruzioni di fornitura di servizi essenziali, con danni alle infrastrutture, per 80 giorni complessivi di stop per metropolitane e treni urbani; 14 casi di danni al patrimonio storico-archeologico; 39 casi di danni provocati da lunghi periodi di siccità e temperature estreme; 257 eventi con danni dovuti a trombe d’aria; 35 casi di frane causati da piogge intense e 118 esondazioni fluviali (89 avvenuti in città). Inoltre, come spiegato da Gabriele Nanni, uno degli autori del lavoro, i dati messi insieme negli ultimi 10 anni indicano una “crescita costante” degli eventi, soprattutto nelle ultime rilevazioni. Soltanto da inizio 2020 a fine ottobre, si sono verificati 86 casi di allagamento dovuti a piogge intense e 72 casi di trombe d’aria, in forte aumento rispetto a quanto registrato per l’intero 2019 o per il 2018. Ancora, si sono avute 15 esondazioni fluviali, 13 casi di danni alle infrastrutture, 12 casi di siccità prolungata e 9 frane da piogge intense. Inoltre, i fenomeni sempre più spesso riguardano contemporaneamente anche due o più categorie e tendono a verificarsi in Comuni dove si erano già verificati in passato. A questo si aggiunge che l’Osservatorio ha contato nell’ultimo decennio 251 morti, di cui 42 riferiti al solo 2019, in aumento rispetto ai 32 del 2018.

In particolare, ha sottolineato Andrea Minutolo, responsabile dell’ufficio scientifico di Legambiente, per il caso italiano cambiamento climatico e dissesto idrogeologico “sono due facce della stessa medaglia. È evidente come qualsiasi pianificazione territoriale dovrebbe tenere in forte considerazione la componente climatica, che amplifica eventi naturali quali le frane e le alluvioni e si somma a una serie di fattori come consumo di suolo, impermeabilizzazione, espansione urbanistica, erosione costiera, conservazione delle aree naturali: tutti elementi che devono necessariamente rientrare in una logica di programmazione efficace”. In Italia, però, questo non sempre avviene. Nell’ultimo ventennio si sono spesi 6,6 miliardi di euro per circa 6mila interventi, di cui solo il 62% è stato completato, pari a circa 3mila opere. Tuttavia, spiega Minutolo, tra il 2003 e il 2018 i Comuni a rischio sono passati da 5.553 a 7.275. “Qualcosa non ha funzionato, mentre si operava per arginare il dissesto, altre aree diventavano a rischio”.

Proprio le città, dunque, si sono trovate spesso a dover fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico sprovviste di una corretta pianificazione territoriale. In questo senso, scrivono gli autori del rapporto, è “clamoroso il caso di Roma, dove dal 2010 a ottobre 2020 si sono verificati 47 eventi estremi, 28 dei quali riguardanti allagamenti in seguito alle piogge intense. Altro caso importante è quello di Bari, dove gli eventi estremi sono stati 41, soprattutto allagamenti da piogge intense e trombe d’aria. Segue quindi Agrigento, con 31 eventi legati ad allagamenti e danni alle infrastrutture, dovuti anche a trombe d’aria. Fa registrare performance negative anche Milano, con 29 eventi in totale, dove si contano almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro”.

Per uscire da questa impasse, secondo Legambiente, occorre cambiare le regole d’intervento. È necessario un patto tra Governo, Regioni e Comuni, sotto forma dell’approvazione di una legge dello Stato che consenta di assumere decisioni non più procrastinabili per mettere in sicurezza territori e persone. Dieci, secondo l’associazione, gli obiettivi che dovrebbe porsi il provvedimento di legge:

  • vietare qualsiasi edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e in quelle individuate da Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) come aree di esondazione al 2100 per l’innalzamento del livello dei mari;
  • delocalizzare gli edifici che si trovano in aree classificate ad elevato rischio idrogeologico;
  • salvaguardare e ripristinare la permeabilità dei suoli nelle aree urbane;
  • vietare l’utilizzo dei piani interrati per abitazione;
  • mettere in sicurezza le infrastrutture urbane, isolandole dai fenomeni metereologici estremi;
  • vietare l’intubamento dei corsi d’acqua e pianificare la riapertura di quelli tombati nel passato;
  • recuperare, riutilizzare, risparmiare l’acqua in tutti gli interventi edilizi;
  • utilizzare materiali capaci di ridurre l’effetto “isola di calore nei quartieri”, ovvero un microclima più caldo all’interno di determinate aree urbane rispetto alle zone circostanti;
  • creare, in tutti gli interventi che riguardano gli spazi pubblici (come piazze e parcheggi, ma anche nell’edilizia privata) vasche sotterranee di recupero e trattenimento delle acque piovane;
  • prevedere risorse statali per mettere a dimora alberi e creare boschi urbani.

“Nel Rapporto 2020 di CittàClima abbiamo tracciato un bilancio degli ultimi dieci anni con numeri e una mappa aggiornata degli impatti nel territorio italiano”, ha spiegato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. “L’intento è quello di far capire come serva un cambio delle politiche di fronte a fenomeni di questa portata. L’Italia è oggi l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, per cui continuiamo a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione. Dal 2013 il nostro Paese ha speso una media di 1,9 miliardi l’anno per riparare i danni e soltanto 330 milioni per la prevenzione: un rapporto di 6 a 1 che è la ragione dei danni che vediamo nel territorio italiano. Il Recovery plan deve contenere la risposta a queste sfide, con risorse per l’adattamento e un cambio della governance che oggi non funziona”. In questo senso, il piano chiesto dalla Commissione europea che dovrà indicare i progetti e le aree di intervento su cui il Governo italiano intende puntare, può fungere da volano, ma è nell’organizzazione che il nostro Paese deve fare di più.

da asvis.it

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