Asili nido e servizi integrativi: report Istat, “forte l’impatto della pandemia sui servizi pubblici e privati, ampio lo scarto territoriale Nord-Sud e ancora lontano l’obiettivo europeo”

“Da un’indagine realizzata nei mesi di aprile-maggio 2021 su un campione di nidi e sezioni primavera pubblici e privati, emergono le criticità affrontate dai gestori dei servizi all’avvio dell’anno educativo 2020/2021. Fra i problemi più frequenti i servizi indicano: il timore delle famiglie (84%) e degli operatori (86%) per il rischio di contagio, le difficoltà organizzative nella gestione degli spazi (82%) e degli orari (68%), l’approvvigionamento dei prodotti per la sanificazione (70%) e le difficoltà delle famiglie a pagare le rette (60%)”. Lo indica l’Istat, nel report “Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia (anno educativo 2019/2020)”, che pubblichiamo.

“Il 29% dei gestori del settore pubblico e il 45% di quelli del settore privato dichiarano un calo delle iscrizioni (con una plausibile contrazione delle entrate provenienti dalle rette). Si riscontra inoltre la necessità di affrontare costi straordinari (88% dei servizi) e l’aumento dei costi di gestione (85%), nella maggior parte dei casi consistenti o molto consistenti”, precisa l’Istat.
Per garantire la riapertura dei servizi nel mese di settembre 2020 “sono state adottate molteplici misure e riadattamenti organizzativi: rimodulazione degli spazi disponibili (93% dei servizi), formazione degli educatori (92%), orari scaglionati di ingresso e uscita (79%), attivazione di nuovi canali di contatto con le famiglie (72%), acquisto di nuovi materiali educativi (58%) e assunzione di nuovo personale (51%). Poche le strutture che hanno ridotto l’orario di apertura (27%), il 18% ha potuto acquisire spazi aggiuntivi, meno del 10% ha diminuito il numero di sezioni, ridotto il personale o eliminato il servizio mensa”.
“Circa il 62% dei gestori ha dovuto attivare ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione o il Fondo d’Integrazione Salariale, il 29% ha rimodulato il sistema tariffario – aggiunge l’Istat -. Si riscontra complessivamente una notevole capacità di adattamento del sistema di offerta alla difficile situazione epidemiologica. La domanda del servizio da parte delle famiglie si è mantenuta relativamente alta, con oltre l’80% dei posti disponibili occupati sia a settembre 2020 che ad aprile 2021”.
A fronte delle difficoltà causate dalla pandemia, “non tutti i servizi (55%) hanno ricevuto contributi straordinari da parte del settore pubblico (Stato, Regioni o comuni per i servizi privati). Nel Mezzogiorno la quota di nidi e sezioni primavera che hanno beneficiato dei contributi è del 46%, al Centro-nord sale al 57%. Una minore frequenza dei contributi straordinari si rileva anche nei servizi comunali (42%) rispetto a quelli privati (63%)”.

“Al 31 dicembre 2019 (prima dell’interruzione del normale andamento dell’anno educativo 2019/2020 dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19) sono attivi sul territorio nazionale 13.834 servizi per la prima infanzia, circa 500 in più rispetto all’anno precedente. I posti complessivi sono 361.318, di cui il 50% all’interno di strutture pubbliche, a titolarità dei comuni”. Lo si legge nel report dell’Istat “Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia (anno educativo 2019/2020)”, diffuso oggi.
“L’offerta si compone principalmente di nidi d’infanzia (78,8%), ovvero gli asili nido istituiti nel 1971 (legge 1044/71). I posti rimanenti sono in parte nelle sezioni primavera (12,6%), che accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi e si collocano prevalentemente nelle scuole d’infanzia, in parte nei servizi integrativi per la prima infanzia (8,6%), che comprendono le tipologie degli spazi gioco, dei centri per bambini e genitori e dei servizi educativi in contesto domiciliare”, prosegue l’Istat.
In lieve incremento, “dal 25,5% dell’anno educativo 2018/2019 al 26,9% del 2019/2020, la percentuale di copertura dei posti rispetto ai residenti da 0 a 2 anni, sia per l’aumento dell’offerta complessiva e sia per la riduzione dei bambini sotto i tre anni (dovuta al calo delle nascite). Nonostante i segnali di miglioramento, l’offerta si conferma ancora sotto il parametro Ue pari al 33% di copertura dei posti rispetto ai bambini. Questo era il target da raggiungere entro il 2010, stabilito nel 2002 in sede di Consiglio europeo di Barcellona, a sostegno della conciliazione tra vita familiare e lavorativa e della maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro”.
Permangono ampi divari territoriali: “Sia il Nord-est sia il Centro Italia consolidano la copertura sopra il target europeo (rispettivamente 34,5% e 35,3%); il Nord-ovest è sotto ma non lontano dall’obiettivo (31,4%) mentre il Sud (14,5 %) e le Isole (15,7%), pur in miglioramento, risultano ancora distanti dal target”.
A livello regionale “i livelli di copertura più alti si registrano in Valle D’Aosta (43,9%), seguita da diverse regioni del Centro-nord, tutte sopra il target europeo. Dal 2019 anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia superano il 33% (rispettivamente 34,3% e 33,7%). Sul versante opposto Campania e Calabria sono ancora sotto l’11%”.
I capoluoghi di provincia, ricorda il report, “hanno raggiunto nel loro insieme una media del 34,8% di copertura. Tutti gli altri comuni si attestano in media a 23,7 posti per 100 residenti sotto i 3 anni”.
Tra i comuni centro delle aree metropolitane del Centro-nord, “le città di Firenze, Bologna e Roma si collocano sopra il 45% di copertura, seguite a poca distanza da altre città metropolitane e, in netto distacco, da quelle del Sud e delle Isole, dove la copertura non raggiunge il 20% (a eccezione di Cagliari). Alcune aree metropolitane riescono a garantire un buon livello di copertura anche nei comuni periferici: è il caso di Bologna, Firenze, Milano e Genova. I comuni periferici dell’area metropolitana di Roma, invece, si differenziano notevolmente dal centro dell’area, con una copertura del 23,6%”.

da istat.it

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